Pubblicazioni

PEDAGOGIA DELLA CORPOREITA’

Educazione, Attività Motoria e Sport nel Tempo

Di Alba G.A. Naccari

Prefazione di Gaetano Mollo

Editore Morlacchi, Perugia 2003

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La consapevolezza che stiamo tutti acquisendo è la necessità di un’armonica formazione corporea, per allargare l’attività educativa a tutte le sfere della personalità, così da permettere lo sviluppo e l’espansione della relazionalità socio-affettiva, della comunicazione interpersonale, oltre alla fondamentale apertura mentale e disponibilità etica … Da tutto ciò l’importanza di una vera e propria pedagogia della corporeità, come questo testo prospetta in un ampio percorso storico-culturale e con specifico taglio pedagogico-didattico.

 

Introduzione

Nella cultura contemporanea il corpo è oggetto privilegiato d’interesse sia da parte dei singoli, che della quantità abnorme di informazioni mas-mediali. Ma in tutto ciò la dimensione della corporeità appare sempre più ridotta ad oggetto di cure estetiche, per la ricerca di un’immagine soddisfacente.

Le palestre, allora, in questo contesto possono essere ricercate forse da chi, interiormente insicuro perché sempre più impossibilitato a nutrirsi di certezze, cerca di rassicurarsi modellando ed irrobustendo il proprio corpo, così da presentarsi al mondo con un’immagine vincente.L’insicurezza è alimentata da una realtà sempre più disorientante, ipertrofica di stimoli variegati e multietnici e di notizie telematiche. La scuola sembra aver dimenticato l’opportunità della paideia come formazione integrale dell’uomo attraverso la cultura (che comprende le attività motorie), e tende a considerare l’educazione fisica come insegnamento secondario e ricreativo, anziché come piena opportunità pedagogica al servizio della persona. Il mondo dello sport rischia, poi, continuamente le degenerazioni dovute agli ingranaggi dell’agonismo consumistico, gestito da sponsor e media, troppo preoccupati per i guadagni e l’audience. Ciò ha portato spesso a capovolgere i valori originari di promozione umana delle attività sportive, nella negazione stessa della persona, basti pensare qui agli episodi sempre più inaccettabili di violenza negli stadi, o di doping. Eppure lo sport e l’educazione fisica hanno le loro origini nella più gratuita e formativa delle attività umane che è il gioco. Nel gioco rituale delle origini della civiltà, i nostri antenati raffiguravano le forze del cosmo e la loro relazione con esse, tramandavano il loro sapere educando così i loro figli, ed interagivano con gli dei.

Questo testo si prefigge di riscoprire attraverso la storia dell’educazione fisica e dello sport il valore eminentemente pedagogico che essi hanno ricoperto nelle varie epoche, e che è importante valorizzare e reinventare alla luce delle esigenze contemporanee. Crediamo, infatti, che proprio questa riscoperta in ambito educativo possa favorire un’assunzione di valori del tutto nuova, più consapevole, interiorizzata e non volontaristica. Il corpo è luogo dell’esistere stesso della persona, a partire dal quale siamo consapevoli di noi stessi, del mondo e degli altri, è la realtà nella/con la quale percepiamo, sentiamo, pensiamo ed entriamo in relazione. La corporeità è la persona stessa, “il mio corpo è impastato, abitato dall’anima, è animato, è anima”1. Allora è proprio attraverso la dimensione corporea che è possibile raggiungere ogni realtà dell’essere umano, ogni dimensione della persona. Il movimento è, quindi, una grande e poliedrica possibilità educativa, se opportunamente pensato e realizzato. Essendo legato alla dimensione esperienziale dell’essere dell’uomo, inoltre, può favorire l’assunzione di abiti di comportamento in cui bisogni e valori vengono integrati in vista di una sempre più autentica e personale formazione umana.

Nell’esame delle varie epoche storiche, si sono scelti quei contesti e quegli autori ritenuti più significativi per i lettori attuali. Non si pretende evidentemente di essere stati esaustivi. Criteri di scelta sono stati l’attualizzazione possibile e la significatività dei temi in esame, in relazione ai vissuti concreti dell’ esperienza del vivere contemporaneo. Siamo consapevoli infatti che “Non basta… informare per formare. L’informazione in sé non è fornita di alcun valore… se non può essere messa minimamente in relazione col vissuto personale e col senso profondo del rapportarsi al mondo che ci circonda e di cui si può partecipare”2. La stessa conoscenza storica è educativa se consente “la possibilità di analizzare, confrontare, associare e prospettare”3. Per questo, a volte, ad una esposizione ancorata ad un criterio meramente cronologico, è stata preferita una scelta tematica degli argomenti svincolata dalla corrispondenza diacronica, ma più funzionale alla comprensione ed al confronto. Le varie pedagogie e con esse anche i pedagogisti dello sport e dell’educazione fisica, sono stati proposti in larga parte in riferimento alle grandi correnti di pensiero che ne hanno determinato il contesto culturale, e che hanno contribuito alla loro elaborazione e comprensione. Ogni capitolo è corredato da una breve scelta antologica di brani, tratti sia dai pedagogisti dell’educazione fisica che dalla letteratura dei più vari ambiti culturali, ciò a testimoniare il profondo legame dell’attività motoria con le varie dimensioni della persona e delle corrispondenti forme espressive. Le immagini inserite, spesso di artisti contemporanei, a volte supportate da didascalie, hanno la funzione di agevolare il confronto con la sensibilità attuale e con altre espressioni culturali.

Il testo è rivolto agli studenti dei corsi di laurea in Scienze Motorie, agli operatori nei vari settori della pedagogia, degli sports e dell’educazione fisica, agli insegnati delle Scuole affinché possano, attraverso esso, incentivare i loro allievi ad approfondire le opportunità formative del movimento. E’ poi diretto a tutti coloro i quali desiderano saperne di più della corporeità e delle inesauribili possibilità educative che essa dischiude.

LE VIE DELLA DANZA

Pedagogia Narrativa, Danze Etniche e Danzamovimentoterapia

di Alba G.A. Naccari

Con i contributi di Cristina Garrone e Paola de Vera d’Aragona

Prefazione di Gaetano Mollo

Editore Morlacchi, Perugia 2004

leviedelladanzaDa sempre, agli albori delle civiltà, il danzare, ritmicamente scandito e comunitariamente vissuto, ha permesso l’acquisizione del senso d’identità e la consapevolezza dell’essere al mondo (…) Ciò che si prospetta – come questo testo rileva nella molteplicità dei suoi aspetti, tra cui quello concretamente operativo nel setting di danzamovimentoterapia – è la possibilità di riscoprire le valenze culturali della narrazione e delle danze etniche, quali scenari attraverso i quali poter prendere coscienza del senso dell’identità umana, nel suo assumere un posto nella storia. Questo avviene attraverso la relazione interpersonale, il senso del gruppo, l’appartenenza ad una comunità e la consapevolezza di un vissuto avente riscontro e validità universale (…) Di una nuova paideia si tratta, prospettata come un viaggio di ritorno verso le origini del sacro e del simbolico, ma anche come un viaggio verso l’avvenire, verso l’orizzonte di una nuova eticità (…) Per danzare la vita al ritmo di un accogliente atteggiamento d’umanità, nella nuova consapevolezza di raccordare ciò che da lontano ci richiama a significati archetipici e da vicino ci rimanda agli accoglienti spazi dell’incontro d’umanità.

Introduzione

La via, come percorso evolutivo della coscienza, è sempre un percorso individuale e culturalmente connotato. Ognuno vive e racconta il proprio cammino personale, inequivocabilmente immerso nell’unicità della sua soggettività e nella ricerca della propria irripetibile autenticità. Ma proprio questa insopprimibile singolarità dell’esserci (dell’uomo) forgia se stessa nel confronto, più o meno consapevole, con modelli-immagini, che attraversano nelle modalità più eterogenee le culture dei popoli. Le vie della danza rappresentano, allora, gli eterogenei percorsi delle tradizioni dei popoli, nella ricerca dell’identità individuale e collettiva, attraverso il variegato mondo della danza etnica e delle immagini in essa contenute. Le immagini, come forme archetipiche, sono poliedricamente rappresentate nelle coreografie dei popoli. La danza etnica è, dunque, un condensato di riferimenti identitari collettivi, una incarnazione di grandi narrazioni. La ritualità delle antiche civiltà permetteva, insieme all’apprendimento ed alla condivisione collettiva della danza, l’immedesimazione con gli ideali, le immagini, in essa contenute. La riattualizzazione del mito, la grande narrazione delle origini, nel rito, favoriva l’assunzione di un’identità individuale e collettiva, legata ai riferimenti valoriali del popolo e della tradizione di appartenenza. Nel disorientante contesto contemporaneo, in cui le immagini sembrano essere solo quelle piatte dello schermo, la dimensione della condivisione ed assunzione di ideali collettivi sembra aver perso persino la sua dicibilità, anche nei contesti formativi. Gli ideali educativi, in molti casi, fanno sempre più parte del bagaglio di frustrazione degli insegnanti, come obiettivi disattesi, e fanno sempre meno parte del vissuto personale degli educandi, coinvolti con una percentuale minima del loro essere (quella sufficiente ad inviare un SMS) in un universo informatico solo apparentemente e superficialmente globalizzato. Nel mondo della terapia, poi, ci si preoccupa di togliere farmacologicamente le immagini, dimenticando che le visioni dello psicotico vengono da quegli stessi meandri dell’interiorità misteriosa, che è con tutte le sue contraddizioni ed i suoi drammi luogo essenziale, indicibile e complesso della persona.

Le vie della danza cui qui facciamo riferimento alludono, allora, ad un nuovo modo di trovare, formare, curare, condividere, l’identità, nella riscoperta di tradizioni ed immagini ancestrali, attraverso la danza e la narrazione nelle metodologie della danzamovimentoterapia. Nel rispetto della globalità della persona, tutto il nostro discorso è incentrato per un verso sulla parola poetica della narrazione, della fiaba e del mito, per un altro verso sulla incarnazione di questi nelle danze dei popoli e dei singoli danzatori (educandi e/o pazienti). Narrazione e danza, parola e corpo esprimono entrambi, con modalità diverse dell’essere umano, la complessità immaginale del dionisiaco, con le parole di Hillman: la base poetica della mente. Si considera tale opportunità come un arricchimento nell‘approccio terapeutico e pedagogico della danzamovimentoterapia, che, tenendo insieme parola e corpo, narrazione e danza, sul filo dell‘immaginazione poetica, permette ancora meglio quella integrazione tra le varie dimensioni della persona che è un obiettivo fondamentale della danzamovimentoterapia(dmt), senza privilegiare il linguaggio interpretativo apollineo dell‘analisi razionale. Nel confronto con le matrici narrative ed etnocoreologiche è possibile educare e curare la persona, favorendo un processo di identificazione ed autenticazione personale dei modelli culturalmente condivisi. Modelli che sono, secondo noi, l’espressione particolare di archetipi universali.

L’approccio da noi proposto intende porsi come una possibilità di integrazione tra vie differenti nell’universo e nelle metodologie della danzamovimentoterapia. Chi scrive ha una formazione di base in dmt nel modello espressivo-relazionale elaborato da Vincenzo Bellia, a questo tipo di formazione si sono integrate le conoscenze ed esperienze previe in ambito filosofico, teologico, pedagogico e nella danza tradizionale; queste esperienze hanno naturalmente aperto la via all’integrazione con le opportunità della dmt in chiave simbolica elaborata da Paola de Vera d’Aragona, che ha contribuito alla stesura del testo. La formazione in dmt etnoantropologica ed in danze sacre di Cristina Garrone ha ulteriormente contribuito nell’elaborazione di un modello comune e coerente, ma quanto mai flessibile ed eterogeneo (che forse potremmo definire simbolico-antropologico).

Nella nostra proposta le vie della pedagogia e della terapia si intrecciano intenzionalmente; siamo convinte, infatti, che una grossa parte nella pratica clinica dovrebbe averla la pedagogia medica, come attenzione alla totalità della persona, si cura educando tutto l’essere umano-paziente non solo illudendosi di guarire la sua parte malata. In ambito pedagogico poi molte delle pratiche terapeutiche possono essere utilizzate per fini squisitamente pedagogici e preventivi. Soprattutto l’attenzione all’universo emotivo ed immaginale attraverso il recupero della dimensione senso emotiva, dovrebbe trovare nei contesti educativi sempre ulteriore spazio, prima che vi sia necessità di cura.

Le vie della danza cominciano i loro percorsi (Capitolo 1) nell’indagare sui presupposti delle metodologie proposte, con particolare riferimento alla filosofia di Mounier, alla pedagogia di Hessen ed alla psicologia di Frankl, Jung ed Hillman; si prospetta, così, un nuovo tipo di paideia, che di quella classica mantiene il concetto di formazione come arricchimento-costruzione del soggetto, nel confronto con l’eidos (ideale, forma)presente nella cultura di appartenenza. Nell’assunzione (identificazione) di forme culturali condivise, il singolo autentica se stesso differenziandosi e personalizzando quelle forme stesse. Da un punto di vista psicologico si valorizza la dialettica tra archè e telos, ovvero l’importanza di considerare, insieme alla dimensione della causalità, quella della motivazione. Valorizzare, quindi, insieme ai contenuti dell’inconscio personale quelli dell’inconscio collettivo, insieme alla dinamica dei bisogni quella dei metabisogni; in una circolarità per la quale i bisogni, per il fatto stesso di essere bisogni umani sono già umanizzati e dunque orientati. La pedagogia esigenziale4 esprime la necessità di considerare nell’educazione questa doppia prospettiva: assolvere ai bisogni senza dimenticare di orientare verso i metabisogni (con essi verso i valori, gli ideali). Anche il medico non può non dimenticare che la mancanza di significato esistenziale è patogena. La narrazione e la danza sono il tramite culturale di questa evoluzione e mediazione dialettica, essendo entrambe condensati identitari delle culture dei popoli. Queste forme culturali permettono, tra l’altro un apprendimento che è di tutta la persona, poiché possono coinvolgerla oltre la dimensione cognitiva. Nel secondo capitolo si prendono in esame le caratteristiche della narrazione, in ambito filosofico, mitico, terapeutico. Evidenziando, così, l‘imprescindibilità del raccontare come tessuto fondante e dialettico dell‘identità sia individuale che collettiva; tutto ciò sia ad un livello più esterno e consapevole dell‘autobiografia e della cultura, sia a quello più interno, sotterraneo e fantastico della fiaba, del mito, dell’inconscio collettivo.

Al valore culturale della danza etnica è dedicato tutto il terzo capitolo, così da sottolineare che vi è ben di più dell’aspetto folclorico dello spettacolo. Ci si rifà, qui, a testi di storia della danza, di antropologia, di etnocoreologia e di etnomusicologia, tra gli autori citati Curt Sachs (Storia della danza) e Ernesto De Martino (La terra del rimorso). I contesti etnocoreologici esaminati sono per un verso alcuni tra quelli più conosciuti nella tradizione italiana (tarantella, tarantismo, tammurriata), per un altro verso le scelte sono state determinate dall’esperienza e dalle conoscenze particolari di chi scrive (ebraismo, sciamanismo e transe in culture specifiche).

Non essendoci più il contestodegli antichi riti: il villaggio, lo sciamano, tradizioni e miti comuni, non c’è neppure più il senso della collettività, com’è possibile ritrovare, ancora oggi, il valore formativo e terapeutico delle danze etniche? Ci è sembrato di individuare negli antichi gesti delle coreografie dei popoli atteggiamenti e significati esistenziali che riguardano uomini e donne di tutti i tempi, indipendentemente dal luogo geografico e culturale in cui essi vivono. Questi significati e valori sono condensati nello spessore simbolico del gesto danzato. Abbiamo pensato allora che se, oltre che insegnare le danze, si permette di viverne, autenticamente, intensamente, lo spessore simbolico, in un nuovo dispositivo nel setting della danzamovimentoterapia, allora è ancora possibile fare delle danze etniche una opportunità formativa e terapeutica (Capitolo 4). Nell’apprendimento della danza etnica, in un contesto in cui all’insegnamento della coreografie sono integrate metodologie di movimento ed altre tecniche utili ad amplificare la percezione del simbolo, è possibile attivare in chi danza l’archetipo corrispondente, che, quale simbolo interno,ri-suona e con-suona, così, con il simbolo esterno. Coerentemente con gli studi di matrice junghiana, abbiamo inteso le danze etniche come una manifestazione-produzione particolare di realtà-atteggiamenti, modelli di comportamento istintuale5, universali che giacciono nei meandri dell’interiorità. Conoscere, vivere un simbolo, che viene proposto dall’esterno, può permettere di attivare interiormente vissuti archetipici che gli sono umanamente legati. Si attiva così una sorta di circolarità fra ciò che, in modo decisamente riduttivo, può essere chiamato simbolo esterno e simbolo interno. Dall’attivazione dello spessore interno del simbolo si possono generare all’esterno nuove coreografie, dense a loro volta di spessore simbolico (Capitolo 4). Questa modalità pedagogica e terapeutica si inserisce in quel processo di identificazione e differenziazione a cui abbiamo accennato prima. L’identificazione avviene attraverso l’esposizione ad immagini universali, che attivando intensi processi protomentali ed immaginativi, ne favorisce in un secondo momento una propria personale rielaborazione integrazione, autenticazione-differenziazione. Come una sorta di plotiniana contemplazione creatrice, il soggetto incontra l’archetipo-immagine, per lasciarsi fecondare negli spazi indicibili dell’interiorità. Per poter attuare un lavoro di questo tipo nella danzamovimentoterapia, abbiamo cominciato col sondare alcuni dei simboli contenuti nelle danze, per poterne predisporre il setting più adeguato. Si propone, dunque, una sintesi di alcune delle simbologie più diffuse nella danza etnica (Capitolo 5) dal cerchio, al labirinto, all’albero, la croce etc…Cercando di elaborarne, sicuramente non in modo esaustivo, delle indicazioni transculturali, legate anche ad alcuni miti di popolazioni differenti e ad elementi di carattere psicodinamico.

Seguono alcune indicazioni operative su come lavorare nella dmt in questa direzione (Capitolo 6). Non basta infatti insegnare la danza affinché possa esserne sperimentata la dimensione simbolica, occorre integrare la conoscenza della danza etnica nel setting della danzamovimentoterapia, con le opportune modalità di movimento che di volta in volta esaltino e permettano di focalizzare la dimensione archetipica specifica della danza trattata. La scelta del tema dipenderà, teleologicamente, dal tipo di gruppo con cui si lavora, pedagogico o terapeutico. Si propongono dunque alcuni esempi di unità di lavoro in cui viene realizzata questa integrazione. Molte delle coreografie delle danze etniche indicate vengono descritte in appendice.

Il capitolo settimo, coerentemente con quanto detto in precedenza, prende in esame alcuni seminari di formazione di G.Wosien, per estrapolarne le opportunità applicative nella danzamovimentoterapia. I seminari infatti fanno riferimento ai miti rappresentati nelle danze etniche, permettendo, così, quel confronto narrativo e danzato nella dinamica circolare del simbolo.

Nell’ottavo capitolo si descrivono alcune esperienze applicative laboratoriali realizzate con l’utilizzo delle danze etniche, in base alle metodologie descritte in precedenza. Il laboratorio La danza delle storie intrecciate, realizzato in contesto educativo con due gruppi di ragazze adolescenti, diventa occasione per descrivere la particolare utilità pedagogica di questo tipo di lavoro in età evolutiva. Il laboratorio La via degli dei sottolinea la valenza formativa e terapeutica dell’attivazione e/o riconoscimento degli archetipi legati alle figure mitiche degli dei attraverso la danza etnica.

Il capitolo sulla fiabazione (Capitolo 9) descrive un’originale metodologia di danzamovimentoterapia, attraverso la quale esaltare le opportunità applicative dell’immaginazione attiva attraverso una modalità narrativa. Nella fiabazione si dà spazio alla dinamica interna del simbolo, permettendone l’espressione attraverso la produzione fantastica di una fiaba personale o collettiva, e favorendone l’abitazione attraverso la danza. I casi clinici (Capitolo 10) descrivono nel concreto l’evoluzione del processo terapeutico, attraverso la fiabazione, con alcuni pazienti.

Alcuni dei fili delle trame, evocate ma non trattate nel testo, vengono riprese nell’ultimo capitolo per dedicarvi un breve approfondimento e suggerire piste possibili di ricerca. La questione relativa alla dimensione mistica della trance nella danzaterapia suscita, insieme al fascino innegabile, numerosi interrogativi, legati sostanzialmente al valore da attribuire a simili esperienze nelle metodologie della dmt, ed alla qualità e quantità di limiti che è bene riconoscere al terapeuta in questo ambito. E’ nostra intenzione dedicarci a questo argomento in una successiva pubblicazione. Un’altra questione fondamentale è quella relativa allo statuto epistemologico della danzamovimentoterapia, se infatti l’aspetto metodologico è stato ampiamente sondato ed elaborato coerentemente con adeguati riferimenti epistemici, non sono ancora sufficientemente indagati e fondati i riferimenti, complessi e sistemici, relativi al modo di leggere le interazionifra microcosmo e macrocosmo. Queste relazioni, dal nostro punto di vista, emergono analogicamente nella trattazione del simbolo in varie parti del nostro testo; tali interrelazioni sono sempre più presenti ed interessanti nei diversi contesti della formazione e della cura. E’ bene, dunque, occuparsene in modo epistemologicamente fondato, un riferimento utile a noi è sembrato quello della teoria della complessità di Morin.

Coerentemente con un tipo di epistemologia pedagogica aperta alle interazioni delle molteplici realtà che abitano l’essere umano, la pedagogia e la terapia, nelle modalità qui proposte, auspicano un ritrovamento dello spessore della corporeità nell’intenzionalità educativa6, all’insegna di una nuova e più integrale ricerca dell’autenticità dell’esistenza. Una delle fondamentali dimensioni della persona è, infatti, quella corporea, attraversata da tutte le intelligenze che la caratterizzano. Recuperare il volume totale dell’essere umano in educazione, oggi, può significare, allora, aprirsi a nuove metodologie che della prospettiva senso-emotiva fanno un luogo privilegiato di comunicazione/formazione per la totalità dell’esserci.

PERSONA E MOVIMENTO

PER UNA PEDAGOGIA DELL’INCARNAZIONE

di Alba G.A.Naccari

Armando Editore, Roma 2006

1.Persona e MovimentoIl testo indaga su teorie e metodologie pedagogiche che valorizzano la dimensione della corporeità e del movimento al fine di ritrovare e vivere autenticamente il significato, la bellezza e le potenzialità evolutive dell’unità psicocoporea, nell’unicità complessa della creatività delle persone concretamente esistenti, nella ricerca di una rinnovata armonia con il contesto umano e naturale in cui siamo immersi, nella valorizzazione e nell’ascolto dei vissuti interiori. L’indagine epistemologica si orienta nella ricerca di una prospettiva unitaria, in riferimento a saperi che tendenzialmente non interagiscono fra loro (ad esempio, psicologia e religione), mettendone in evidenza ed elaborandone le prospettive di integrazione sia in ambito educativo che clinico. L’autrice rielabora e propone, quindi, una visione della persona e una metodologia, che possano farsi tramite autentico di incarnazione di valori ed ideali transpersonali e transculturali, nella concretezza dell’esserci delle persone reali e nella valorizzazione della differenza (anche di genere). Si intende favorire, in questo modo, il processo individuale di incarnazione, inteso come continuo e misterioso manifestarsi dell’universo complesso della personalità sul piano dell’esistere. Vengono, quindi, proposti: il modello della croce antropomorfa (quale utile strumento per la rilevazione dei bisogni formativi e la predisposizione degli interventi educativi a mediazione corporea), un setting pedagogico di danza-movimento (come contesto educativo congruo alle metodologie proposte, anche, tramite una rielaborazione, in ambito pedagogico, di conoscenze e metodi nati in ambito clinico). Una specifica trattazione, inoltre, è dedicata all’educazione emotiva e al valore dell’immaginazione per la formazione della persona attraverso le metodologie a mediazione corporea.

Introduzione

Nella complessità della società occidentale attuale, il modo di considerare il corpo palesa aspetti decisamente contraddittori. Gli studi sulla corporeità si diffondono sempre più, in ambiti molto eterogenei, celebrando la centralità della realtà corporea, in relazione ai diversi processi individuali e sociali, e ribadendo il superamento di ogni dualismo mente-corpo.

Ma, nella quotidianità della maggior parte delle persone reali, permane un atteggiamento disincarnazionista (nell’accezione di Pietro Prini), nel senso che si tende a considerare il corpo come qualcosa che si possiede, come un’immagine da contemplare dall’esterno, come un oggetto da migliorare e modificare, quantificandone e trasformandone le misure in palestra, senza escludere eventuali interventi medici. Le attività ginniche e sportive, quindi, sono spesso considerate più uno strumento per controllare e trasformare il corpo, piuttosto che un insieme di attività grazie alle quali entrare in contatto, in modo più significativo ed evolutivo, con quella dimensione sostanziale della persona che è la corporeità, ed attraverso essa, con lo spessore psichico, singolare, creativo e spirituale della personalità individuale. In ambito epistemologico e pedagogico, poi, le attività psicomotorie sono ampiamente motivate, metodologicamente supportate ed opportunamente inserite nel curricolo scolastico, riferite prevalentemente all’età evolutiva, che spesso, nella concreta pratica educativa, si ferma alla preadolescenza. Le metodologie pedagogiche a mediazione corporea per la formazione della persona nell’adolescenza e nell’età adulta sono, quindi, scarsamente indagate, e non sufficientemente elaborate sul piano metodologico. Nelle scuole superiori, infatti, nonostante il continuo rinnovarsi della pedagogia e delle metodologie dell’educazione fisica, e una formazione sempre più specifica ed articolata degli insegnanti, si tende ancora a considerare l’attività motoria e sportiva come un insegnamento meno importante rispetto agli altri a carattere più cognitivo, gnoseologico e culturale. Permane, così, di fatto una logica disgiuntiva in cui, in effetti, tutto ciò che attiene al corpo viene svalorizzato e sacrificato in nome di una cultura che perde, in questo modo, una dimensione costitutiva ed ampiamente significativa della sua complessità. Inoltre, gli studenti e le studentesse sono coinvolti e condizionati da una presenza telematica sempre più pervasiva, che, da un lato, mostra corpi improbabili per proporzioni, ingabbiati in una bellezza fittizia e artificialmente costruita, e dall’altro lato, richiede abilità operative in cui più dimensioni sensoriali ed intelligenze sono coinvolti nell’interagire con/e gestire i mezzi cibernetici. Ragazzi e ragazze finiscono, così, per sentire la realtà scolastica come qualcosa di estraneo alla loro vita, e si attrezzano per sopravvivere alla meno peggio in un contesto scolastico che diventa così virtuale; mentre, paradossalmente, il virtuale mondo di internet (con le chat, gli MMS, gli MP3 etc.), pur nella sua evanescenza, diventa il mondo reale. Molti adulti, dal canto loro, vivono il disagio di dover gestire le proprie emozioni, senza aver mai avuto l’opportunità di imparare a farlo (in un apposito contesto formativo) integrando i vissuti affettivi con le altre istanze della personalità, con il mondo interiore e con le proprie scelte etiche. Tutto questo in un mondo che appare, per molti versi, sempre più malato, e più bisognoso di cure.

Per queste ragioni ci sembra opportuno, con il presente lavoro, indagare, ulteriormente, su teorie e metodologie pedagogiche incarnazioniste, al fine di ritrovare e vivere autenticamente il significato, la bellezza e le potenzialità evolutive dell’unità psicocorporea, nell’unicità complessa degli esseri umani concretamente esistenti, nella ricerca di una rinnovata armonia con il contesto umano e naturale in cui siamo immersi, nella valorizzazione e nell’ascolto dei vissuti interiori attraverso le metodologie a mediazione corporea. Riteniamo importante, quindi, ricercare i fondamenti teorici ed epistemologici per le attività motorie ed elaborare le metodologie pedagogiche incentrate sul movimento e la corporeità, che possano rispondere agli obiettivi sopra proposti; tutto questo, prevalentemente, nell’ambito della formazione degli adolescenti e degli adulti, che appare, appunto, la realtà meno indagata sotto questa prospettiva. L’indagine epistemologica si orienta nella ricerca di una prospettiva unitaria, in riferimento a saperi che tendenzialmente non interagiscono fra loro (ad esempio, psicologia e religione), mettendone in evidenza ed elaborandone le prospettive di integrazione in ambito formativo. Ci proponiamo di rielaborare e rinnovare, quindi, ed in alcuni ambiti proporre ex novo, sia da un punto di vista teorico che pratico, una visione della persona e una metodologia, che possano farsi tramite autentico di incarnazione di valori ed ideali transpersonali e transculturali, nella concretezza dell’esserci delle persone reali. Intendiamo favorire, in questo modo, il processo individuale di incarnazione, inteso come continuo e misterioso manifestarsi dell’universo complesso della personalità sul piano dell’esistere. L’incarnazione è, così, per noi, insieme processo, opportunità, dimensione educativa e finalità pedagogica.

Coerentemente con gli obiettivi individuati, proponiamo:

  • il modello della croce antropomorfa, quale utile strumento per la rilevazione dei bisogni formativi e la predisposizione degli interventi educativi a mediazione corporea;

  • un setting pedagogico di danza-movimento, come contesto educativo congruo alle metodologie proposte, anche, tramite una rielaborazione, in ambito pedagogico, di conoscenze e metodi nati in ambito clinico e nella valorizzazione della dimensione emotiva e dell’immaginazione.

Nella presente ricerca, abbiamo tentato di integrare saperi e metodologie differenti, grazie alla formazione universitaria di base (in ambito sia filosofico che teologico), a quella pedagogica e psicologica (nei contesti sia scolastici che accademici), nonché alle conoscenze e alle competenze metodologiche relative al valore educativo del movimento, maturate nel training formativo in danzamovimentoterapia e sperimentate nella conduzione dei laboratori educativi a mediazione corporea.

Nella prima parte (cap.1), consideriamo le Narrazioni delle grandi religioni storiche, alla stregua di scienze dell’educazione. Siamo convinti infatti che l’essere umano presenta una complessità superiore rispetto a quella semplificata e ridotta al dualismo anima-corpo, una complessità che include al suo interno la dimensione spirituale. Se le scienze dell’educazione si occupano di conoscere i diversi lati della corporeità, della psiche, della socialità e della cultura della persona, così da poter educare in maniera più efficace, allora non si può tralasciare di analizzare e comprendere per quanto possibile anche l’emergenza spirituale della personalità (come sostiene Stanislav Grof), e/o l’inconscio spirituale (come afferma Viktor Frankl). Individuiamo, quindi, nelle manifestazioni più autorevoli delle grandi religioni, al di là della concezione dualistica tra corpo e anima generalmente attribuita loro, una più autentica, e forse meno conosciuta, visione unitaria dell’essere umano, che diversamente da quanto comunemente si pensa, tiene in debito conto la realtà della corporeità. Insieme a questa concezione più complessa e globale della persona mettiamo in evidenza l’approccio pedagogico nell’attività corporea, nei diversi contesti religiosi, che si palesa, così, ben diverso dalle pratiche di mortificazione del corpo, tristemente note in alcuni ambienti in differenti epoche storiche. E’ possibile a nostro parere ritrovare nella cultura religiosa di Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo, Induismo, pur nella grande differenza di credo e di manifestazioni religiose, comuni elementi significativi per la costruzione di un modello di formazione per una pedagogia della corporeità. I “fondamenti” dell’educativo, in crisi fino all’epoca odierna, sono, quindi, ravvisabili a ben guardare anche nei Grandi Racconti delle religioni storiche, per ciò che concerne la realtà corporea come medium educativo della persona. Tali fondamenti sono, tra l’altro, come evidenziamo nel nostro lavoro, in sintonia con la visione che dell’essere umano prospettano diverse correnti filosofiche e pedagogiche contemporanee (guardando oltre le differenze dell’impostazione di fondo) a cui facciamo riferimento nella nostra ricerca (personalismo, fenomenologia, attivismo).

Al fine di elaborare una concezione unitaria e complessa della persona sotto le diverse prospettive delle scienze dell’educazione, a partire dall’analisi della corporeità (Parte I, cap.2), ci concentriamo oltre che sugli studi di filosofi, pedagogisti, psichiatri, psicologi e teologhe, anche sul lavoro di attori e danzatori che hanno elaborato complesse analisi relative alla coessenzialità di persona e movimento, di danza e cultura, ed alla lettura in chiave psicocorporea della motricità. In tutti questi diversi approcci disciplinari, il concetto di corporeità è considerato come la prospettiva attraverso la quale intravedere e contattare tutto l’essere dell’uomo e della donna, nella valorizzazione e nella complementarietà ed integrazione delle differenze. Tutto ciò trova un riferimento sostanziale nel concetto di incarnazione elaborato da Mounier come una delle dimensioni fondamentali della persona (Parte III, cap.3); a partire da questo concetto elaboriamo il modello della croce antropomorfa, come modello di formazione (Parte I, cap.3; Parte II, cap.1). Le direzioni esistenziali nelle quali è coinvolto il volume dell’essere umano (secondo i pensiero del filosofo francese), sono, infatti, a nostro parere, rappresentate emblematicamente dalla struttura stessa del corpo umano che poggia saldamente al suolo con le gambe, si erge verso il cielo con la colonna vertebrale, si apre al mondo ed agli altri esseri con le braccia. L’immagine della croce può rappresentare, così, un modello antropomorfo, che descrive simbolicamente i fondamentali riferimenti e gli ambiti esistenziali dell’umano: la Terra, l’Orizzonte, il Cielo; ovvero, l’appartenenza alla terra nella sua naturalità (i bisogni), l’apertura all’altro (creatura, mondo, cosmo), l’aspirazione al cielo (trascendenza, valori, metabisogni). Le dimensioni simboliche così individuate condensano in sé, nella loro pregnanza culturale, una sintesi autenticamente interdisciplinare tra le diverse scienze analizzate, evidenziando in questo modo (con tutti i limiti intrinseci alle rappresentazioni mediante schemi) un modello globale della complessità della persona, che parlando il linguaggio del simbolo, rinvia insieme a significati religiosi, filosofici, pedagogici, psicologici, corporei e motori. Il modello della croce antropomorfa diventa così, nella nostra proposta, un vero e proprio dispositivo per leggere i bisogni formativi degli educandi e disporne gli interventi attraverso il corpo ed il movimento, considerando in maniera equilibrata, dinamica e dialettica le polarità dell’umano sospeso fra terra e cielo, tra bisogni e metabisogni (Parte II, cap.1).

In questo quadro di riferimento, il concetto d’incarnazione rivela una multisemanticità in grado di compendiare in sé accezioni diverse per riferimenti culturali, ma, convergenti nel significare sostanzialmente l’idea di un surplus di potenzialità e creatività (dello spirito e/o della personalità), che gradatamente si realizza ed esprime sul piano della realtà concreta (corporea) dell’individuo. Abbiamo, dunque, indagato su come il concetto di incarnazione dell’embrione spirituale (che nella primissima infanzia si realizza proprio attraverso il movimento), così come è esplicitato da Maria Montessori, possa essere esteso all’idea di una evoluzione e realizzazione che copre l’arco di tutte le età della vita. L’incarnazione può, quindi, emergere, sia come processo che come opportunità educativa. E’ processo in quanto ciò a cui aspiriamo come autorealizzazione verso il dover essere (i valori del cielo), si fa continuamente in una sintesi dinamica, in cui la dimensione della corporeità terrena è luogo e punto di riferimento imprescindibile, ed in cui le aspirazioni si realizzano proprio grazie alle opportunità finite dell’esserci. L’incarnazione è anche opportunità pedagogica perché, proprio tramite l’ascolto della corporeità, ed il lavoro educativo realizzato attraverso il movimento, si può realizzare l’integrazione delle dimensioni della persona, così che l’invisibile si fa progressivamente più visibile, e viene ad abitare, attraversare, sempre più la realtà terrestre dell’esserci.

Tra le metodologie a mediazione corporea, l’immaginazione in movimento, assume le caratteristiche di un tramite privilegiato per l’incarnazione, ovvero come tramite tra il mondo invisibile dell’anima (e/o spirito) e quello visibile dell’esistenza (Parte II, cap.2). L’immaginazione in movimento può diventare luogo di mediazione tra visibile ed invisibile nel senso che può permettere al mondo dei sogni e delle aspirazioni indefinibili dell’animo umano, di trovare una concreta realizzazione, uno spazio di impegno esistenziale, così da permettere l’autorealizzazione, l’incarnazione, della persona. Ma l’indagine sull’immaginazione attiva pone diversi problemi, legati innanzitutto all’opportunità ed alle modalità pedagogiche di una tecnica nata sostanzialmente in ambito terapeutico. Si è cercato di indagare e definire, quindi, gli ambiti, le finalità ed i confini di applicabilità formativa dell’immaginazione in movimento; cercando di indicarne, per quanto possibile, anche i riferimenti epistemologici.

Tra le opportunità formative più importanti delle metodologie a mediazione corporea, ci soffermiamo su quella relativa alla educazione emotiva, sinora poco studiata e valorizzata (Parte II, cap.3). Attraverso l’intelligenza corporeocinestetica si può agevolare la canalizzazione e trasformazione del mondo eterogeneo e a volte caotico delle emozioni, dell’emisfero destro, nella definizione nietzschiana, del dionisiaco, dell’archetipo del femminile; così da realizzare un’educazione autenticamente integrale anche su un piano etico, per una formazione che non sia volontaristica, e che sappia invece valorizzare il mondo degli affetti nel contesto di una morale più integrata e motivante, radicata nel cuore della presenza e della relazione concreta di uomini e donne.

Si indaga, poi, coerentemente ai temi proposti, ed a partire dalla teoria della complessità, sui nuovi paradigmi di coscienza e di umanità, che possono configurarsi nell’epistemologia pedagogica, grazie alla valorizzazione dell’archetipo del femminile, come corporeità, emozioni, intuizione, immaginazione, comprensione, accoglienza, creatività (Parte II, cap.4).

Nella terza parte (cap.1) si cerca di indagare anche sul contributo che una nuova concezione della corporeità può offrire alla pedagogia medica, sulla via già aperta dalla medicina psicosomatica, per una considerazione più umana e globale della persona malata, da parte di chi se ne prende cura; e per un modo più eterogeneo e costruttivo di leggere e ascoltare i sintomi. I diversi contesti della terapia e della cura, quindi, dovrebbero sempre, a nostro parere, avere un forte spessore pedagogico. Il corpo, infatti, non è mai solo organismo biologico è, invece, sempre espressione e realtà sostanziale di tutta la persona. Il sintomo può diventare, allora, luogo cifrato di messaggi educativi.

Nel secondo capitolo della terza parte, descriviamo le caratteristiche di un setting pedagogico di danza-movimento. Un dispositivo formativo, cioè, in grado di realizzare le differenti opportunità educative, proposte in questo lavoro. Cerchiamo di rispondere alla questione relativa alle differenze tra setting clinico (come quello della danzamovimentoterapia) e setting pedagogico, ed alle coordinate e alle strategie da considerare e da attivare in un laboratorio pedagogico di movimento.Uno spazio importante lo dedichiamo all’educazione della persona attraverso le attività motorie in genere, lo sport e l’educazione fisica in ambito scolastico e non (Parte II, cap.3). Mettendo in evidenza come, anche qui i diversi approcci e saperi, compresi quelli relativi al setting pedagogico di danza-movimento, possano interagire ed integrarsi efficacemente per l’educazione di tutte le intelligenze-dimensioni dell’essere umano attraverso l’intelligenza corporea cinestetica. Infine non potevamo non prendere in considerazione la formazione degli educatori, e delle educatrici, che lavorano con il movimento, ma anche la formazione degli insegnanti che pur non lavorando esplicitamente con il movimento, non possono prescindere dalla dimensione relazionale e di mediazione culturale che la corporeità inevitabilmente riveste in ogni contesto educativo (Parte II, cap.4).

Nel corso del nostro lavoro nelle scelte linguistiche cerchiamo, per quanto possibile, di rispettare le differenze di genere (superando, così, il maschilismo linguistico), tentiamo di orientarci e di orientare, anche in questa scelta (anche se a volte può sembrare di forzare un po’), verso la valorizzazione delle differenze e verso una autentica complementarietà ed integrazione di istanze eterogenee, sui diversi piani possibili, nella persona e tra le persone, nei vari contesti pedagogici e sociali.

EDUCAZIONE PERMANENTE E CITTADINANZA ATTIVA

PROCESSI E STRUMENTI DI CONDIVISIONE SOCIALE

A.G.A.Naccari – C.Arnone

Editore Morlacchi, Perugia 2007

educazionepermanenteSiamo solo cittadini di casa nostra? Del nostro quartiere? O anche della nostra azienda? Fabbrica? Scuola? Università? Città? Nazione? Terra? Del cosmo? Spesso non riusciamo ad alzare lo sguardo oltre la nostra famiglia, e temiamo il confronto con il diverso, l’appartenenza – e la cittadinanza – è una questione destinata a svolgersi in confini angusti. Nella storia dell’educazione si è spesso posto l’accento o sulla formazione personale, come dimensione spirituale, creativa e soggettiva di autorealizzazione, o sull’importanza dei processi e delle strutture sociali per il rinnovamento dell’umanità. E’ tempo di trovare un’ulteriore sintesi tra la dimensione della soggettività personale e quella dell’oggettività sociale, è tempo di elaborare nuovi strumenti che agevolino processi di autoeducazione personale insieme ad una presa di coscienza nei confronti della realtà politico-sociale. In questo testo le autrici propongono elementi di analisi e spunti operativi, su alcuni strumenti (tra cui il bilancio partecipativo visto come laboratorio pedagogico), e sui processi educativi da essi attivati, che possano essere spazi-risorse pubblici-privati di condivisione e riflessione sociale, e che possano farsi occasione di cittadinanza attiva, nonché opportunità di evoluzione personale nelle diverse età della vita.

Introduzione

La società occidentale odierna, anche a causa del proliferare dell’eterogeneità degli elementi che la compongono, è spesso vissuta dai più come complessità disorientante, come ingiunzione più o meno trasparente alla massificazione, come incapacità di trovare ciò che unisce oltre le differenze culturali, come impossibilità nel sentirsi partecipi dei processi politici, come onnipotenza di una sorta di superficialità dell’immagine fatta di volgarità i cui produttori e fruitori sono ormai inconsapevoli della disperazione che la genera.

In questo quadro complesso e difficile da gestire, su un piano più specificatamente politico, si assiste al manifestarsi di bisogni e atteggiamenti dicotomici da parte dei semplici cittadini; da un lato ciò che riguarda lo Stato è percepito come qualcosa di distante e verso il quale si è impotenti (nonostante gli organi di rappresentanza e partecipazione democratica), dall’altro lato si palesa in molti il bisogno ed il desiderio frustrato di contare di più, di partecipare di più, di avere più potere nel governo della res pubblica.

Ancora, tra gli elementi della complessità sociale, non si può non notare come alla globalizzazione economica, non corrisponda affatto un’altrettanto globale visione culturale ed etica, che possa, nel rispetto delle specificità storiche, geografiche ed etniche, orientarsi ed orientare verso valori transculturali. E’, invece, questo un momento in cui, accanto ad una sorta di superficiale avversione e resistenza per ciò che sembra appartenere alla globalizzazione economica, si evidenziano drammatiche e devastanti espressioni di intolleranza razziale e culturale-religiosa.

La globalizzazione è, poi, sicuramente reale sul piano della comunicazione telematica, che è ben diversa da ciò che conosciamo e aneliamo come dialogo autenticamente interumano; siamo inevitabilmente informati di tutto ciò che accade sul pianeta, almeno di ciò che si ammanta di significati sensazionali e catastrofici; siamo superficialmente (tramite cellulare, internet, televisione etc.) tutti in contatto con tutti; ma quale consapevolezza e quale senso d’appartenenza corrispondono a questa presunta comunicazione globale?

Siamo solo cittadini di casa nostra? Del nostro quartiere? O anche della nostra azienda? Fabbrica? Scuola? Università? Città? Nazione? Terra? Del cosmo? Spesso non riusciamo ad alzare lo sguardo oltre la nostra famiglia (se c’è), e temiamo il confronto con il diverso, l’appartenenza è una questione destinata a svolgersi in confini angusti.

In tutto ciò l’educazione permanente (oltre che alfabetizzare e formare professionalmente) si è posta come risorsa per riorientare, sostenere nella ricerca di senso e di autenticità, nelle diverse età della vita, così da valorizzare i percorsi di ricerca di autorealizzazione esistenziale, in relazione ad un rinnovamento dei processi sociali e al ritrovamento di valori interculturali superindividuali. Ma è questo un processo pedagogico, che pur essendo ricco di storia (se si guarda oltre il passato a noi più prossimo da un punto di vista epistemologico e geografico), necessita ancora di tempo e di strumenti per passare sempre più dall’elaborazione teorica alla prassi della realtà vissuta.

Nella storia dell’educazione si è spesso posto l’accento o sulla formazione personale, come dimensione spirituale, creativa e soggettiva di autorealizzazione, o sull’importanza dei processi e delle strutture sociali per il rinnovamento dell’umanità. Come sostengono diversi filosofi e pedagogisti (a cui faremo riferimento in questo lavoro), è tempo di trovare un’ulteriore sintesi tra la dimensione della soggettività personale e quella dell’oggettività sociale, è tempo di elaborare sempre nuovi e più efficaci strumenti che agevolino processi di autoeducazione personale insieme ad una presa di coscienza e di posizione in relazione alla realtà politico-sociale. L’evoluzione della persona non può essere pensata solo nella dimensione del privato, nella ricerca prevalentemente individuale di dimensioni ed opportunità di crescita, può anche essere realizzata nello spazio di contesti pubblici, ove la condivisione e l’attenzione al bene comune siano questioni determinanti. Evidentemente questa intersezione tra dimensioni pubbliche e private dell’educazione, in alcuni spazi specifici, di cui diremo tra poco, non pretende di riassorbire in sé le due sfere, che mantengono comunque una propria specificità ed ambiti non sovrapponibili.

In questo testo abbiamo voluto, quindi, riflettere su alcuni strumenti e sui processi educativi da essi attivati, che possano essere spazi-risorse pubblici-privati di condivisione e riflessione sociale, e che a partire dalla discussione di temi di comune-pubbblico interesse, possano farsi occasione di presa di coscienza e di posizione in relazione al proprio contesto socio-culturale, nonché opportunità di evoluzione personale.

Nello specifico gli spazi-strumenti cui facciamo riferimento in prevalenza sono quelli multidimensionali del bilancio sociale e del bilancio partecipativo, soprattutto quest’ultimo, infatti, strutturato nei più diversi contesti pubblici e privati può attivare nella persona processi di condivisione e di crescita democratica.

Il bilancio sociale nasce come strumento di rendicontazione e di comunicazione, concepito per narrare l’operato di un’organizzazione, soprattutto in relazione alla mission valoriale dell’organizzazione stessa. Per le sue caratteristiche di coniugare insieme tangibile ed intangibile, valori sociali e valori economici, pubblico e privato (in quanto segna l’opportunità di comunicare con il mondo esterno per motivi non prioritariamente legati al profitto), può diventare nella forma più complessa del bilancio partecipativo (in cui tutti possono prendere parte, almeno in forma consultiva, alle decisioni dell’azienda/ente) uno strumento pedagogico: un laboratorio di cittadinanza.

Il bilancio partecipativo, come opportunità di dialogo su tutto ciò che riguarda, un’azienda, una cooperativa, un comune, un’associazione etc, tra le diverse categorie di lavoratori coinvolti, può essere, appunto, uno strumento che (gestito con i criteri del laboratorio pedagogico) può attivare i processi relativi all’acquisizione delle competenze sociali, inevitabilmente connesse con la complessità e l’integralità della persona.

Il concetto di Cittadinanza Attiva, che per noi è un obiettivo pedagogico, assume, così, significati molteplici. Si riferisce non solo alla motivazione ed alla capacità di partecipazione da parte del singolo, al sentirsi parte attiva dei processi democratici che riguardano la propria città, il proprio paese, ma anche alla possibilità di ampliare gli orizzonti stessi dell’essere cittadini. Nella partecipazione al dialogo sulla rendicontazione-valutazione-decisione relativamente al bilancio del proprio comune (o condominio, azienda etc.), nell’interagire in maniera significativa con l’altro (altro cittadino, altro istituzione, altro natura etc), ci si sente partecipi dell’amministrazione della città, ma, poiché ogni dimensione collettiva è sempre immersa inevitabilmente e risonante di comunità-realtà più grandi e complesse, in un sistema intrecciato di cause, effetti e retroazioni, attraverso questa partecipazione si sarà sempre più coinvolti e partecipi di collettività e sistemi più grandi, finché alzando ancora lo sguardo si potrà essere partecipi e coinvolti nell’andamento del sistema-terra, finché non ci si sentirà appartenenti-cittadini del pianeta terra.

Prima di entrare nel merito delle opportunità pedagogiche del bilancio sociale e del bilancio partecipativo, abbiamo ritenuto opportuno, presentare un quadro sintetico sull’educazione permanente (nel primo capitolo). Ne abbiamo così descritto le origini antiche, che si perdono all’alba dei miti dell’umanità, e quelle più prossime, ancorate all’epistemologia pedagogica contemporanea. Ci è sembrato importante evidenziare come in età adulta vi siano precisi compiti evolutivi, che proprio nelle dimensioni del sociale trovano occasioni di sviluppo. Amore, sollecitudine e saggezza sonole virtù che tendenzialmente possono e dovrebbero essere acquisite nelle diverse fasi dell’età adulta. La fiducia nella vita, nell’altro, nei valori condivisi, in se stessi e nella possibilità di contribuire con la propria esistenza al benessere di tutti sono prerequisiti fondamentali. Tutto ciò è condensato in uno dei compiti evolutivi caratteristici della media età adulta: la generatività, come capacità di generare non solo, e non per tutti, sul piano biologico, ma anche sui piani culturale, sociale e professionale. Le dimensioni di scambio e di rispecchiamento sociale sono tra i temi centrali di indagine e di lavoro dell’educazione permanente, in quanto dimensioni attraverso le quali l’adulto, nel riconoscere le nuove dimensioni identitarie che di volta in volta lo caratterizzano (dal momento che la ricerca esistenziale è in continuo dinamismo ed in continua ricerca), può ampliare i propri orizzonti di appartenenza, condividendo sempre più ampie dimensioni di responsabilità e compartecipazione.

Nel secondo capitolo descriviamo le caratteristiche precipue del bilancio sociale, la sua nascita nelle aziende profit, che valorizzano in questo sistema di rendicontazione l’utilità economica dell’etica. Nonostante il fine non sia esattamente isomorfo ai valori individuati e tenuti presenti nel bilancio, di fatto le imprese sono tenute in questo modo a rispettare di più l’ambiente e i diritti umani, ad adottare comportamenti solidali, ad operare scelte etiche. Nella pubblica amministrazione la pratica del bilancio sociale assume ulteriori significati, in quanto in esso l’amministrazione deve rendere visibile ai cittadini la propria mission e la propria vision, ovvero quali sono gli obiettivi reali del proprio operato e come si intende raggiungerli. Il significato di termini tecnici, quali accountabiliy e stakeholder, si riferiscono a realtà estremamente significative per la nostra prospettiva. Questi termini, infatti, indicano, sostanzialmente, la responsabilità che l’azienda, l’organizzazione, ha nei confronti del mondo circostante, una responsabilità che supera quella economica e che assume i connotati complessi delle inevitabili interazioni nel “villaggio globale”.

Il bilancio sociale nella pubblica amministrazione, diventa, quindi, valido strumento di comunicazione, di trasparenza, tra istituzione e cittadini, si avvia ad essere una possibilità di partecipazione dal basso alla cosa pubblica, un’opportunità di dialogo democratico tra rappresentanti della gestione della res pubblica e cittadini.

L’opportunità di partecipazione democratica, diventa più ampia ed effettiva, nelle esperienze di bilancio partecipativo, che, pur lontane geograficamente, rivestono per noi grande interesse pedagogico. Ci riferiamo nello specifico al celebre esempio (non certo modello) di Porto Alegre in Brasile (che riportiamo nel terzo capitolo), come “rinnovato patto sociale tra cittadini ed amministratori, che si concreta nella co-gestione della cosa pubblica”7. A Porto Alegre tutti i cittadini, anche i più emarginati, “evidenziano le priorità da realizzare e discutono l’allocazione delle risorse”8 nella gestione delle più diverse questioni di pubblico interesse. In tutto ciò le diverse occasioni del bilancio partecipativo diventano opportunità di autentica compartecipazione, acquisizione di conoscenza e presa di coscienza sia per i cittadini che per i rappresentanti dell’amministrazione. I processi partecipativi si rivelano, così, essere anche processi eminentemente educativi; sono, infatti, opportunità di scambio, di collaborazione, di “coscientizzazione”9, che spingono i singoli a guardare oltre il proprio immediato interesse, per cercare l’interesse di tutti in una realtà sempre più effettivamente democratica.

Nel quarto capitolo, prendiamo spunto dall’esperienza di Porto Alegre per riflettere sulle idee che ne hanno costituito l’humus culturale e che possono rivestire interesse, alla luce della contemporaneità e di contesti geografici, storici e costituzionali differenti quali sono quelli più vicini a noi, così da elaborare le premesse per un laboratorio di educazione permanente in un ipotetico spazio di bilancio partecipativo.

Innanzitutto abbiamo cercato i punti in comune, che al di là degli estremismi politici e religiosi, sono presenti sia nella Teologia della Liberazione che nelle Encicliche Sociali della Chiesa. In entrambe, le condizioni sociali sono considerate importanti insieme alla crescita personale e spirituale dei cittadini; considerando comunque che, probabilmente, la dimensione spirituale sopravanza e ricomprende in sé la dimensione sociale. Ci è sembrato di poter individuare, qui, a ben vedere, quella opportunità di sintesi tra oggettività sociale e soggettività personale, cui accennavamo prima. “L’attenzione al rispetto dei diritti e al benessere del cittadino sono necessariamente in relazione sostanziale con la sua stessa possibilità di essere se stesso, autoeducarsi, affermare il proprio senso di responsabilità”10. Nell’opera di Paulo Freire, che costituisce uno dei principali elementi propulsori dell’esperienza di Porto Alegre, Socialismo e Cristianesimo si estrinsecano in una sintesi quanto mai armoniosa ed in tutta una serie di iniziative di educazione permanente foriere di molte riflessioni e spunti utili per il nostro discorso. L’opera di alfabetizzazione, portata avanti sia nelle zone rurali che urbane, diventa per Freire occasione di coscientizzazione, opportunità cioè per saper nominare il mondo e porsi in rapporto intenzionale e trasformativo con esso. Le modalità dell’educazione problematizzante, opportunamente rielaborate ed integrate, sono interessanti risorse da utilizzare nei laboratori di educazione permanente per la cittadinanza attiva. Il modo di intendere il dialogo tra cittadini e governanti, l’utilizzo dei temi generatori, le modalità di lavoro degli educatori-facilitatori così come sono descritte da Freire, permettono di disegnare nuovi scenari per una formazione alla cittadinanza attiva.

Nel quinto capitolo, analizziamo le principali ricadute formative che si potrebbero realizzare grazie alla partecipazione alle forme assembleari democratiche, con l’aiuto di grandi pensatori e pedagogisti che hanno avuto a cuore la relazione imprescindibile tra educazione e democrazia (tra cui Dewey, Buber, Mounier, Capitini).Il bilancio partecipativo, gestito anche dalla presenza di un educatore-facilitatore (così come realizzato da Freire), può sia assolvere ai bisogni sociali (esprimersi, associarsi, riconoscersi etc), sia offrire occasioni per la strutturazione delle competenze sociali, quali attualizzzazioni di due tendenze essenziali: l’espansione di sé ed il contatto con l’altro da sé, nella ricerca del giusto equilibrio tra libertà e responsabilità. Tutto ciò in una logica educativa centrata sulla persona (così come ha proposto Rogers), che consentirebbe altresì di ampliare di fatto il potere di ciascuno attraverso le dinamiche della partecipazione. Precedenti illustri di simili dimensioni assembleari rimangono per noi (tra l’altro anche geograficamente più prossimi) i centri di orientamento sociale di Aldo Capitini, ispirati ai luminosi e lungimiranti concetti di compresenza, di omnicrazia, di società aperta. Concetti che risuonano con i compiti evolutivi tracciati per l’età adulta da Erikson, e con quella ricerca di sintesi tra evoluzione soggettiva-spirituale e oggettiva-sociale evidente nell’opera di Freire, che è una prospettiva fondamentale del nostro lavoro. Concetti, inoltre, che riscoperti alla luce della contemporaneità, schiudono nuove prospettive per i problemi della complessità sociale accennati sopra. Sono essi, infatti, ideali che auspicano il dialogo e lo scambio tra il maggior numero di persone e di realtà possibili, per realizzare la più vasta dialettica di idee, la più ampia partecipazione democratica possibile; tenendo presenti nella propria coscienza anche le vite di chi per limiti diversi non può partecipare alle assemblee, ma anche le realtà di tutte le creature esistenti in natura e le dimensioni invisibili di tutti quelli che non ci sono più. In questi ideali sono evidentemente già ricompresi valori ai quali oggi non si può fare a meno di ispirarsi, quelli dell’intercultura e della ricerca di un’ecologia sostenibile, tutto ciò riferito ad un quadro più ampio di consapevolezza della propria collocazione nel cosmo nel suo significato spirituale. Valori questi con cui si può fare i conti in realtà quotidiane come l’assemblea di condominio o l’assemblea del proprio comune di appartenenza, discutendo ad esempio sulla destinazione e gestione degli spazi verdi comuni con condomini e/o cittadini di paesi, culture e religioni diverse. E’ infatti a partire dalla gestione delle piccole realtà collettive che è possibile iniziare a sentirsi responsabili delle collettività/comunità più grandi in cui siamo immersi, ed in cui ogni piccola realtà produce i propri effetti-cause (come argomenta acutamente Morin).

Infine, come sintesi concreta delle nostre riflessioni (nel sesto capitolo), tracciamo un’ipotesi per avviare un percorso partecipativo deliberativo in una municipalità, che può configurarsi come un vero e proprio laboratorio pedagogico; una dimensione che, come per i COS realizzati da Capitini, diventi “uno spazio appropriato che permanentemente possa essere assunto come punto di riferimento dai cittadini, uno spazio con specificità dichiarata ed evidente: un luogo per parlare e per pensare, un luogo per conoscersi e conoscere”11. Questo laboratorio permanente necessiterebbe (come nei gruppi condotti da Freire) di un tutor-educatore, facilitatore dei processi partecipativi ed educativi.

Nel delineare questa ipotesi di uno spazio di partecipazione come laboratorio progettuale educativo, siamo consapevoli della implicita valenza ideale della nostra proposta, ma una certa prospettiva utopistica è propria della definizione stessa di educazione permanente, che può essere considerata come quella istanza della pedagogia che più guarda verso il futuro, contemplando in sé tutto il continuum della vita umana. La prospettiva eidetica della pedagogia è una prospettiva destinata nel tempo a trovare sempre nuovi strumenti ed interlocutori, per attivare processi che siano un’incarnazione sempre più autentica ed integrale della dialettica tra teoria e prassi.

PEDAGOGIA DEI CICLI DI VITA IN ETA’ ADULTA

COMPRENDERE E ORIENTARE LE CRISI E I CAMBIAMENTI NEL CORSO DELL’ESISTENZA

Di Alba G.A. Naccari

Editore Anicia, 2010

 
Naccari-CicliUno degli scopi principali di questo testo è argomentare che crescere e, quindi, affrontare crisi e metamorfosi, anche da grandi, ha senso, che lo svolgersi del tempo, nelle età della vita dell’adulto
e dell’adulta, schiude compiti e significati esistenziali da realizzare, che rappresentano la bellezza e la profondità delle potenzialità dell’umano. Oggi si può constatare una grande fluidità, confusione e ibridazione tra le differenze di età. L’età anagrafica difficilmente corrisponde all’età che si dimostra, meno ancora l’età psicologica … Si vuole a tutti i costi rimanere giovani … Inoltre la
vita degli esseri umani si è notevolmente allungata … E questo vivere così a lungo, con tempi così lunghi per crescere, lottare e diventare saggi, non avrà bisogno di studi e cure più approfondite per
rendere prezioso questo tempo in più, per coltivare-educare in esso i segreti misteri e le bellezze possibili dell’animo umano? Si è cercato, allora, di elaborare una sintesi, in chiave pedagogica, delle teorie dei cicli (e del corso) di vita … configurando un rinnovato quadro di base (epigenetico, non certo prescrittivo bensì orientativo-teleologico), con relativi compiti di sviluppo ed indicazioni pedagogiche congrue, che possa tenere conto della complessità, fluidità, eterogeneità della vita
degli esseri umani, che, nella contemporaneità, si confrontano con un universo ancor più complesso e contraddittorio … Riteniamo, infatti, che indicare un possibile quadro di base, in cui siano generalmente (nomoteticamente) descritte le fasi, le crisi, i valori da realizzare …, possa essere di aiuto per cercare di comprendere e realizzare soggettivamente (idiograficamente) l’unicità della propria biografia … È questa una proposta di nuove, più dinamiche e positive forme (eidetiche),
che permettano di contenere ed orientare la liquidità di una post-modernità, che rischia altrimenti di essere senza né Terra (fondamenta, radici, passato, memoria, tradizioni) né Cielo (trascendenza, valori, aspirazioni, immaginazione, futuro).

Introduzione

“La vita dell’essere umano conosce tre fasi: 20 anni per imparare, 20 anni per lottare, 20 anni per diventare saggi” (Antico detto cinese).

L’identità personale è caratterizzata da un equilibrio di tipo dinamico, crisi e cambiamento sono normalmente parte della vita di ogni essere umano. Essere e divenire, persistenza e trasformazione, costituiscono la trama di fondo dell’esistenza, alla quale si intrecciano in modo complesso (cum-plexus, tessuto insieme) i fili degli interessi personali, delle motivazioni e dei talenti peculiari di ciascuno, delle scelte esistenziali intrise di significati rielaborati da un sempre più vasto, multivoco e contraddittorio orizzonte di senso.

L’identità, quindi, si snoda come una sorta di melodia, fatta di note e frasi musicali diverse, che, però, mantengono nell’insieme una struttura di fondo univoca e  armoniosa. Inevitabilmente vi sono ogni tanto delle note dissonanti, ma anch’esse, spesso, prima o poi, rivelano la propria natura di controcanti destinati ad aumentare lo spessore e la ricchezza del suono.

La temporalità come materia della memoria, che la coscienza accoglie e organizza, nutre le potenzialità dei processi di sviluppo della melodia. Ma passato, presente e futuro non si dispongono su una linea retta, bensì in maniera circolare, poiché non solo il passato genera il presente ed il futuro, ma ciò per cui ci apprestiamo a vivere trasforma le nostre interpretazioni del passato e del presente. Dunque, continuamente ritorniamo sul passato per restituirgli sempre nuova luce e nuove comprensioni. In ciò, anche, sta la costitutiva libertà, e nello stesso tempo responsabilità, della persona. Non siamo determinati da ciò che è stato, il fatto in sé è solamente una delle dimensioni visibili dell’esistenza, le sue risonanze interiori, le interpretazioni e le prospettive con cui lo guardiamo, restituiscono al fatto stesso la complessità della verità della persona.

L’essere umano, infatti, secondo noi, non si caratterizza unicamente da ciò che può essere visto, i mondi sconfinati dell’interiorità, pur invisibili, sono altrettanto veri e confluiscono in un’immagine della persona più complessa e completa.

Oggi sembra molto più complicato accogliere e dare senso al cambiamento, non si tollerano le crisi, si è perso il significato della sofferenza, la capacità e la volontà di darle senso. Si pensa che l’equilibrio sia qualcosa che può essere raggiunto una volta per tutte, e si vive lo star male come una sorta di ricaduta in una problematica che era già stata superata. Non c’è la consapevolezza della inevitabile processualità della vita umana che implica necessariamente: crisi, sfide, momenti di arresto, di sofferenza, momenti di riassestamento, di cambiamento; tutto questo attraverso continue metamorfosi, nelle quali (come sostiene Eraclito) la ripetizione è un’illusione, un’ostinazione della mente.

A complicare enormemente queste difficoltà, si aggiunge oggi il giovanilismo imperante, pervasivamente propinato dalla cultura di massa. L’archetipo-stereotipo prevalente è quello del giovane adulto, della giovane adulta, con le caratteristiche psicologiche dell’adolescente. Un essere sempre giovane atletico e prestante, senza responsabilità troppo vincolanti, che fa di tutto per rimanere tale, scordando che i segni del tempo sono, o dovrebbero, o potrebbero essere, indicatori di nuove acquisizioni e di crescita personale. Ci si dibatte allora nel non senso del tempo passa, ostinandosi nel voler a tutti i costi rimanere uguali, negando il significato e le potenzialità delle crisi che comunque sopraggiungono…

Uno degli scopi principali di questo testo è argomentare che crescere-invecchiare ha senso, che lo svolgersi del tempo, nelle età della vita, schiude compiti e significati esistenziali da realizzare, che rappresentano la bellezza e la profondità delle potenzialità dell’umano. Oggi si può constatare una grande fluidità, confusione e ibridazione tra le differenze di età. L’età anagrafica difficilmente corrisponde all’età che si dimostra, meno ancora l’età psicologica…

Come riflettiamo approfonditamente nel testo, i modi ed i tempi dello sviluppo oggi sono notevolmente cambiati rispetto ad un tempo, certamente al detto cinese che abbiamo posto all’inizio di questa introduzione bisognerebbe aggiungere almeno una decade per ciascuna fase! La vita degli esseri umani si è notevolmente allungata, certamente grazie al variare delle condizioni di esistenza, ma probabilmente vi sono altre concause… E questo vivere così a lungo, con tempi così lunghi per crescere, lottare e diventare saggi, non avrà bisogno di studi e cure più approfondite per rendere prezioso questo tempo in più, per coltivare in esso i segreti misteri e le bellezze possibili dell’animo umano?

Nell’approfondire lo studio delle teorie sui cicli di vita, abbiamo potuto constatare che vi sono notevoli assonanze tra i periodi ed i compiti evolutivi indicati, nelle differenti fasi esistenziali, anche tra autori molto distanti tra loro per collocazione geografica, storica e di pensiero (come descriviamo nel capitolo II e come si può evincere dallo schema n°1).

Ci siamo proposte, allora di elaborare una sintesi, in chiave pedagogica, della teoria dei cicli di vita, a partire dalla vasta letteratura a proposito. Abbiamo cercato di elaborare un rinnovato quadro di base (epigenetico), con relativi compiti di sviluppo ed indicazioni pedagogiche relative, che possa tenere conto della complessità, fluidità, eterogeneità della vita degli esseri umani, che, nella contemporaneità, si confrontano con un universo ancor più vasto, complesso, fluido e contraddittorio.

Come argomentiamo nel primo capitolo, le cosiddette teorie stadiali dello sviluppo non sempre hanno goduto del beneplacito dei pedagogisti. Che vi siano delle epoche, e delle età più o meno fisse, che si susseguono indicando via via le crisi ed i compiti di sviluppo, è parso troppo deterministico e non rispettoso della libertà, unicità, eterogeneità, creatività delle persone. Condividiamo tali critiche. Riteniamo, infatti, che delineare una teoria dei cicli di vita, con le relative fasi e caratteristiche che si susseguono, non rappresenti la pretesa di incasellare deterministicamente le età della vita dell’essere umano. Valutiamo, invece, che indicare un possibile quadro di base, in cui siano generalmente (nomoteticamente) descritte le fasi, le crisi, i valori da realizzare ed i compiti di sviluppo, possa essere di aiuto per cercare di comprendere e realizzare soggettivamente (idiograficamente) l’unicità della propria biografia. Consideriamo, infatti, che al di là della indicazione di fasi ed età precise, che certamente non possono essere vincolanti, il fatto di sapere che esistono crisi che in determinati momenti-situazioni esistenziali sono pressoché inevitabili, ma celano un significato evolutivo, possa essere di aiuto per capire che ciò che ci accade è normale ed è foriero di crescita. La differenza tra i termini ciclo e corso, sta secondo noi proprio qui, il termine ciclo sottolinea ciò che può esservi di comune e dunque di universale, il termine corso sottolinea, invece, l’unicità, la soggettività e la continuità del percorso evolutivo di ciascuno; evidentemente l’uno non esclude l’altro, sono da porre in circolarità dialettica.

Il taglio che abbiamo scelto è dunque squisitamente teleologico, ci siamo concentrate su come gli esseri umani dovrebbero e potrebbero essere. E qui sta anche lo spirito un po’ utopico delle nostre proposte educative, ma si sa che la prospettiva utopica (come eu-topos) è parte intrinseca della pedagogia. Guardare lontano, senza perdere di vista ciò che è attuale, è parte della funzione orientativa di chi educa. Riteniamo, infatti, che proprio per via delle contraddizioni, dei drammi, delle brutture e dell’estrema complessità che caratterizzano il mondo cui si rapporta il soggetto nella contemporaneità, proprio per tutto questo è importante proporre nuove e più dinamiche e positive forme (eidetiche), che permettano di contenere ed orientare la liquidità di una modernità, che rischia altrimenti di essere senza né terra (fondamenta, radici, passato, memoria, tradizioni) né cielo (trascendenza, valori, aspirazioni, immaginazione, futuro).

La nostra è, allora, una proposta teorica, che intende porsi come una sorta di summa di forme a-priori, in senso kantiano, che, quali assunti di base, possano far parte di un più vasto paradigma sulla pedagogia dei cicli di vita, in cui la teoria possa entrare in circolarità complessa ed ecologica con la prassi.

La filosofia e pedagogia che stanno sullo sfondo della nostra proposta sono prevalentemente quelle personaliste, integrate con alcune correnti di pensiero, che, anche in altri ambiti di ricerca, valorizzano nell’essere umano la maggior complessità possibile, dalla dimensione corporea a quella affettiva e cognitiva, dalla realtà relazionale a quella sociale, etica e spirituale, dunque: dal visibile all’invisibile (di tutto questo argomentiamo nel primo e nel secondo capitolo).

L’ambito evolutivo che abbiamo privilegiato è quello relativo alle età dell’adulto/a normale, o normalmente nevrotico/a, come spesso si sente dire oggi. Ci sembra infatti che relativamente alle età dell’adulto/a, che non soffre di particolari problematiche psichiche, vi sia molto poco, a parte l’interessante letteratura di educazione permanente che citiamo abbondantemente nel testo. Abbiamo comunque tracciato un quadro delle età precedenti, dall’infanzia all’adolescenza, per permettere la comprensione delle età dell’adulto/a, nel terzo capitolo.

Il contesto al quale, prevalentemente, ci siamo dedicate è quello della società occidentale, con particolare riguardo al contesto italiano. Non siamo riuscite ad includere nella nostra trattazione tutto il mondo, estremamente variegato, di quanti, immigrati nel nostro paese, portano l’esigenza di integrare tra loro più culture, e, certamente, testimoniano modalità di vita e di passaggio da una fase all’altra, diverse da quelle che possono avere significato per chi invece è nato in Italia, da genitori italiani, ed ha prevalentemente vissuto respirando il tipo di contesto culturale che caratterizza il nostro paese.

Dal quarto al sesto capitolo, ci concentriamo sulle età dell’adulto (cap IV: giovane età adulta; cap.V: media età adulta; cap. VI età adultaavanzata, terza e quarta età), indicando dapprima (nei primi paragrafi di ciascun capitolo) i diversi processi, i compiti di sviluppo e le virtù che possono essere acquisite in quella fase; in seguito, dopo un paragrafo in cui descriviamo le problematiche della situazione attuale, analizziamo le proposte pedagogiche che secondo noi potrebbero essere congrue per quell’età con quelle caratteristiche. Ogni capitolo ha un proprio schema di sintesi, che lungi dal voler essere un quadro prescrittivo, intende essere di aiuto nella comprensione delle proposte del testo. Anche tutti gli altri schemi proposti vanno considerati come supporto alla lettura, non possono certo essere presi alla lettera.

Abbiamo cercato, nel corso del nostro lavoro, di dare indicazioni in merito alle differenze di genere nei processi di cambiamento e di sviluppo dell’essere umano. Ma siamo consapevoli che questo è un ambito, che, soprattutto nella complessità e confusione attuali tra generi, ruoli e appartenenze, merita certamente un’indagine più approfondita.

Nell’uso della lingua, ci sforziamo per quanto possibile di aggirare il maschilismo linguistico, forzando, a volte, un po’ il linguaggio, o adottando modalità espressive a cui non siamo normalmente abituati/e.

La nostra proposta intende essere un strumento di lavoro per quanti, educatori/trici, insegnanti, operatori/trici sociali, terapeuti/e, si trovano a confrontarsi con l’eterogeneità delle crisi e dei compiti delle persone, utenti, allievi/e, pazienti con le quali si trovano ad operare. La pedagogia dei cicli/corso di vita può offrire loro chiavi ermeneutiche, orizzonti di senso, e prospettive valoriali per sostenere clienti-utenti-allievi nel loro percorso di autorealizzazione.

Il nostro studio vuole essere, anche, uno strumento per quanti, leggendo, vorranno confrontarsi con quanto esposto, per comprendersi meglio, per vedere se c’è qualcosa che riferito al proprio ciclo su base anagrafica, o ad un altro che si articola col primo su base psicologica, può illuminare la propria esperienza di vita orientandola.

E’, inoltre, nelle nostre aspirazioni e motivazioni, che questo lavoro possa entrare in circolarità dialettica con la ricerca empirica, come cornice teorica di un successivo progetto di ricerca, che sia una sperimentazione delle strategie corporeo-espressive e narrative, realizzabili nel setting pedagogico di danza-movimento, per agevolare i processi di autoformazione e di consapevolezza in età adulta in relazione alla pedagogia dei cicli di vita ed alle conquiste possibili che questa descrive.

 

LA MEDIAZIONE CORPOREA PER UN’EDUCAZIONE OLISTICA

SIMBOLI IN MOVIMENTO TRA PEDAGOGIA E TERAPIA

A cura di Alba G.A. Naccari

Editore Guerini, Milano 2012

 

Il testo propone una visione organica della pedagogia della mediazione corporea ed espressiva a indirizzo simbolico-antropologico e delle metodologie connesse. Se ne argomentano i fondamenti culturali ed epistemologici, se ne descrivono le strategie di progettazione, realizzazione e valutazione (che si muovono nell’ambito del cosiddetto paradigma ecologico), si propone un ricco repertorio di attività pratiche per i diversi cicli di vita.
In particolare, si mette in luce come la mediazione simbolico-antropologica possa essere una dimensione privilegiata per attivare le diverse componenti della persona nella sua complessità, nella considerazione della trama ancor più complessa di interazioni in cui è inserita. Essa può, dunque, consentire una vera e propria educazione olistica. Il simbolo, infatti, condensa in sé non solo significati, ma anche atteggiamenti esistenziali e valori, può suscitare emozioni e immagini; esso collega, nello sterminato mondo degli archetipi, micro e macrocosmo, ovvero realtà che appartengono all’essere umano e realtà che appartengono alle civiltà, alla natura, al cosmo. La ricchezza pedagogica del simbolo è presente nelle gestualità, nelle narrazioni e negli altri linguaggi espressivi dei popoli, ai quali è possibile attingere e ispirarsi, immedesimandosi in essi attraverso la mediazione corporea ed espressiva. È possibile, in questo modo, rivivere e rielaborare personalmente i significati racchiusi in antiche (e nuove) coreografie e/o immagini e racconti, così da scoprire nuovi atteggiamenti e valori esistenziali e avviarsi verso cambiamenti e/o apprendimenti possibili…
Il testo è rivolto a educatori e educatrici, insegnanti, pedagogisti/e, danzamovimentoterapeuti/e, operatori e operatrici sociali, psicologi/he e terapeuti/e, studenti/esse e laureati/e in Scienze motorie e Scienze della formazione, interessati/e alla positività formativa e terapeutica della mediazione corporea ed espressiva.

 

Introduzione

Il testo nasce principalmente dal lavoro di ricerca, di tirocinio e di supervisione svolti nella Scuola di Pedagogia della Mediazione Corporea ed Espressiva di Perugia, che dal 2006 si occupa della formazione di esperti, e di esperte, della mediazione corporea e di danzamovimentoterapia. Tutto ciò nel dialogo con alcuni contesti universitari e nel confronto con interlocutori internazionali che le diverse associazioni di danzamovimentoterapia hanno reso possibile (1).

L’elaborazione dello specifico indirizzo della scuola, che definiamo ormai da diversi anni simbolico-antropologico, ha visto nel tempo la collaborazione con danzamovimentoterapeuti di grande esperienza che si sono dedicati all’integrazione del valore della mediazione simbolica e della danza etnica nelle attività di danzamovimentoterapia (2).

In questi ultimi anni la ricerca si è avvalsa della collaborazione e della sperimentazione di docenti universitarie in contesti e con modalità differenti. Tra queste Elena Mignosi e Mirca Benetton che hanno contribuito alla stesura di questo lavoro (3).

Il testo si avvale anche della creatività e del lavoro di alcune collaboratrici della scuola, che hanno completato il percorso formativo in pedagogia della mediazione corporea e danzamovimentoterapia, e che vantavano già all’atto di iscrizione un notevole curricolo; tra queste Emanuela Canton, Valentina Tosi e Francesca Verdesca Zain. Molto interessante e proficua è stata anche la collaborazione con arte terapeuti esperti in discipline diverse, rispetto alla mediazione e alla danza, che hanno permesso l’arricchimento dell’integrazione dei diversi linguaggi espressivi, tra questi Tiziana Luciani che ha curato alcune schede relative alle rielaborazioni artistiche (4).

Generalmente per mediazione corporea in ambito clinico si intende ogni intervento che utilizza la corporeità ed il movimento come opportunità utili ai fini terapeutici. Il concetto di mediazione è qui relativo a ciò che fa da tramite per consentire ed agevolare il processo terapeutico. A questo proposito probabilmente uno degli approcci più noti è quello bioenergetico (Reich, 1933; Lowen 1979).

In ambito educativo per mediazione si intende, per un verso, la dimensione formativa che permette la sperimentazione in sicurezza di realtà culturali difficilmente sperimentabili in maniera diretta; attraverso tale dimensione mediatrice si rendono disponibili e si attivano gli apprendimenti connessi alla realtà cui si rinvia (Damiano, 1993; Massa 2003; Moliterni, 2009). La mediazione è, in questo senso, anche una sorta di rinnovato spazio transizionale in cui è possibile rivedere ancora le interazioni tra mondo interno e mondo esterno, tra soggettività ed oggettività, tra vissuti e oggetti culturali (Naccari, 2008). Per un altro verso, sempre in ambito educativo, si intende per mediazione l’attività connessa all’intelligenza corporeo-cinestetica in se stessa, in quanto fa da tramite per apprendimenti che si realizzano grazie ad intelligenze e dimensioni differenti.

Nella mediazione corporea ed espressiva di cui si argomenta nel presente lavoro, si fa riferimento a tutti i significati proposti, privilegiandone quelli educativi ai quali, secondo noi, l’intervento eventualmente terapeutico è comunque inevitabilmente connesso, qualora si intenda rapportarsi olisticamente alla persona nella sua complessità. Le argomentazioni che proponiamo nascono fondamentalmente da una rielaborazione ed integrazione in chiave pedagogica di metodologie nate prevalentemente in campo clinico nella danzamovimentoterapia. Dal 1996 la danzamovimentoterapia in Italia, in interazione con le associazioni europea e americana, ha potuto contare sulle ricerche e la serietà formativa garantite dal lavoro di condivisione e scambio epistemologico, resi possibili in seno all’associazione professionale italiana di danzamovimentoterapia. Il lavoro che le autrici del volume hanno realizzato, sia nell’ambito della ricerca universitaria che nella ricerca sul campo in ambiti e cicli di vita differenti, è stato quello di riflettere, indagare e sperimentare su un piano sia teorico che applicativo, sulle potenzialità pedagogiche di una disciplina nata nel lavoro terapeutico, tutto ciò sia come possibilità esplicitamente educativa in contesti ed agenzie preposte a finalità pedagogiche, sia come integrazione educativa nella pratica clinica. Di conseguenza i termini mediazione corporea e danzamovimentoterapia nel testo vengono usati entrambi, evidenziando il primo un approccio più educativo, il secondo uno più terapeutico, ma entrambi in realtà, secondo noi, integrano nell’approccio olistico alla persona la pedagogia e, dove necessario, la terapia, auspicando in tutto ciò l’interazione ed il lavoro di equipe tra esperti in ambiti differenti.

Rispetto ai volumi già editi in merito alla pedagogia ed alla metodologia specifiche (5), questo lavoro propone una rielaborazione ed una sintesi alla luce delle ultime intuizioni, integrazioni ed esperienze, con un’attenzione specifica alla pedagogia della mediazione simbolica ed un ricco repertorio di attività pratiche.

In particolare, si mette in luce come la mediazione simbolico-antropologica  possa essere una dimensione privilegiata per attivare le diverse componenti della persona nella sua complessità, nella considerazione della trama ancor più complessa di interazioni in cui è inserita. Può, dunque, consentire una vera e propria educazione olistica. Il simbolo, infatti, condensa in sé non solo significati, ma anche atteggiamenti esistenziali e valori, può suscitare emozioni ed immagini; esso collega, nello sterminato mondo delle forme archetipiche, micro e macrocosmo, ovvero realtà che appartengono all’essere umano e realtà che appartengono alle civiltà, alla natura, al cosmo. La ricchezza pedagogica del simbolo è presente nelle gestualità, nelle narrazioni e negli altri linguaggi espressivi dei popoli, ai quali è possibile attingere ed ispirarsi, immedesimandosi in essi nella mediazione corporea ed espressiva; tutto questo consente di rivivere e reinterpretare personalmente la pregnanza archetipica dei segni espressivi esplorati, scoprendo nuovi atteggiamenti e valori esistenziali ed avviandosi, così, verso cambiamenti e/o apprendimenti possibili…

Il testo, dunque, esplicita e descrive approfonditamente una pedagogia ed una metodologia educativa coerenti e specifiche della mediazione corporea simbolico-antropologica; argomentando esaustivamente in merito sia agli assunti teorici, relativi sostanzialmente al personalismo ed alla psicologia umanisitica e analitica (cap. 1 e 2); sia in merito alle differenti dimensioni applicative relative alle strategie di progettazione, realizzazione e valutazione, che si muovono nell’ambito del cosiddetto paradigma ecologico (dal cap.2 al cap.8).

In particolare nel primo capitolo si indaga in merito al contesto culturale ampio in cui nasce il metodo che proponiamo, analizzando i concetti che fanno da sfondo a tutto quanto sviluppato. Termini come benessere, olismo, persona, corso di vita ed educazione vengono argomentati in relazione alla complessità che li caratterizza ed alle interdipendenze multiple che ne tessono le relazioni. Nel secondo capitolo si descrive tutto quanto riguarda la specificità del metodo simbolico-antropologico: il modello pedagogico di riferimento, il setting specifico, l’utilizzo dell’immaginazione simbolica nelle pratiche di movimento, alcuni strumenti per la progettazione, la rielaborazione delle esperienze e la valutazione degli interventi. Seguono due capitoli prevalentemente applicativi (3 e 4), in cui vengono descritte alcune unità di lavoro (intese come incontri di mediazione corporea ed espressiva). Se ne argomentano gli obiettivi educativi, l’utenza a cui sono rivolte, lo svolgimento specifico nel rispetto del setting proposto nel capitolo due, i temi simbolici che riguardano significati archetipici transculturali, tra cui: il ciclo del sole, i miti della creazione, l’avvicendarsi delle stagioni. Nei capitoli cinque e sei viene descritta la specificità educativa e la positività delle metodologie corporee ed espressive nell’età dello sviluppo, valorizzandone l’integrazione con altri linguaggi,  e prospettando l’importanza del modello organizzativo ai fini di un efficace inserimento in ambito scolastico di queste metodologie. Vengono descritti, inoltre due laboratori effettuati nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, utilizzando la pedagogia e le metodologie indagate nel testo. Segue un capitolo applicativo (cap.7) dedicato alla descrizione di unità operative realizzabili nell’età dello sviluppo, dalla scuola dell’infanzia alla scuola media inferiore. Nel capitolo otto si indaga ed argomenta la questione importantissima della valutazione, in discipline giovani e complesse come la pedagogia della mediazione corporea e la danzamovimentoterapia, nelle quali l’integrazione fra l’approccio quantitativo e quello qualitativo è nello stesso tempo una sfida ed una opportunità, per rendere ragione, attraverso la complessità delle strategie formative e delle metodologie proposte, della multiforme complessità delle dimensioni delle persone da educare nell’interazione (anch’essa complessa) con il contesto esistenziale.

Le argomentazioni e le indagini descritte sono integrate opportunamente dalle appendici; nell’appendice B sono descritte le origini di metodologie espressive da noi rielaborate in maniera differente rispetto all’utilizzo classico. In appendice A ed E sono resi noti alcuni strumenti tecnici utili al setting specifico.

Il lavoro di analisi e descrizione è arricchito da schemi, tabelle, schede e immagini, che sintetizzano ed orientano sia in merito all’approccio teorico che a quello pratico.

Il testo è rivolto ad educatori ed educatrici, insegnanti, pedagogisti/e, danzamovimentoterapeuti/e, psicologi/he e terapeuti/e, operatori ed operatrici sociali, studenti/esse e laureati/e in scienze motorie e scienze della formazione, interessati/e alla positività formativa e terapeutica della mediazione corporea ed espressiva.

 

 


(1) In particolare l’APID (Associazione professionale italiana danzamovimentoerapia), l’EADMT (European Association Dance Movement Therapy), e  la ADTA (American Dance Movement Therapy Association)

(2) Tra questi Cristina Garrone e Paola de Vera d’Aragona, dalla cui collaborazione è nato il primo lavoro di ricerca sul metodo simbolico-antropologico (Naccari, 2004); un debito di riconoscenza va sempre comunque a Vincenzo Bellia con cui ho effettuato la mia prima formazione in dmt e dal quale ho imparato molto. Altri riferimenti internazionali, relativi a studi e ricerche, che sono confluiti nel metodo sono messi in luce nel testo in relazione ai differenti temi di lavoro.

(3) I contesti universitari coinvolti nelle indagini sono stati prevalentemente l’Università di Palermo, Dipartimento di filosofia storia e critica dei saperi (oggi Dip. FIERI/AGLAIA), dove opera Elena Mignosi; la Facoltà di Scienze Motorie di Perugia, ove ho potuto realizzare diversi Laboratori; l’Università del “Foro Italico”, Dipartimento di scienze della formazione per le att. motorie e lo sport, ove negli ultimi due anni ho avuto modo di partecipare ad attività centrate sulla mediazione corporea ed espressiva; l’Università di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata dove Mirca Benetton ha avuto modo di integrare in alcuni insegnamenti gli aspetti teorici della nostra ricerca.

(4) Un particolare ringraziamento va a tutte coloro che, lavorando all’aspetto gestionale-organizzativo, hanno reso possibili nel tempo tutte le attività della scuola, sia quella didattica che di ricerca. Tra queste: Francesca Carnevalini, Alessia Fabbri, Francesca Briziarelli, Sara Spezzi e, insostituibile, Ambra Rospo.

(5) Cfr. principalmente: Naccari, 2004; Naccari, 2006.

 

PEDAGOGIA AL LIMITE

CORPO, MOVIMENTO, DANZA NELLA RELAZIONE D’AIUTO

A cura di Alba G.A. Naccari

Anicia Edizioni, 2019

 

Introduzione

Questo testo condivide con quello pubblicato nel 1999[1], di cui riprende la prima parte del titolo, l’intenzione di dilatare i limiti della pedagogia, interagendo in maniera virtuosa con altri ambiti disciplinari.

Nella specificità di questo volume, il limite è inteso nel suo significato più vasto, come ciò che ci caratterizza per il semplice fatto di esistere e di essere in vita in/con una corporeità che non può non invecchiare, non ammalarsi, non morire. La corporeità, nell’esserci, testimonia insieme la vita e la morte. È già da subito situazione-limite (di Jaspersiana memoria), e cioè una realtà con connotazioni finite a cui non possiamo in nessun modo sottrarci. Ma proprio l’ascolto e l’accettazione del limite, che le caratteristiche del nostro vivere rappresentano, schiudono il significato più proprio del vivere stesso. Ogni momento, ogni attimo della nostra esistenza è destinato a passare… il passato non c’è più, non esiste… esiste solo nella nostra memoria, che già lo trasforma e gli dà un senso in relazione alle emozioni ed ai significati percepiti in esso. Il cambiamento si annida in questo nostro continuo perire, dando senso alla processualità ed al divenire evolutivo del vivere, in senso positivamente pedagogico.

L’esperienza continuamente ci mette di fronte ad eventi che noi percepiamo come limiti, perché non ci confermano nel nostro modo di essere, perché ci rendono difficile la realizzazione delle nostre aspirazioni… Eppure, proprio lì si schiude il potere della pedagogia simbolica, ovvero il mettersi in ascolto di ciò che la vita ci chiede attraverso le sue negazioni ed i suoi limiti…

Tra i limiti in cui ci ritroviamo invischiati, la malattia è certamente tra i più difficili da gestire… Ci obbliga a fare cose che non vorremmo fare, a rinunciare alla quotidianità nel suo normale fluire… Eppure, proprio qui, in questo limite, è possibile porsi in ascolto dell’al di là del limite, ovvero del significato profondo di doversi rapportare a se stessi in modo diverso, di poter scegliere per sé opportunità prima insondate, di poter sondare il mistero stesso del vivere e del morire. La speranza che vuole testimoniare questo testo è che la malattia e/o le condizioni di precarietà cui il corpo ogni tanto ci obbliga, parlino in un certo senso il linguaggio dell’anima e di un mondo invisibile che è comunque sempre presente nella sua bellezza e nel suo misterioso significato, ma che, coinvolti in una quotidianità che ci vuole aitanti e di corsa, rischiamo di non percepire. È un linguaggio che ci chiede un cambiamento nella direzione della nostra evoluzione propriamente umana e spirituale. Con le altre autrici, ci sforziamo di indagare e testimoniare come ciò sia possibile anche in condizioni di estrema precarietà e sofferenza. Vogliamo, quindi, proporre ed approfondire un approccio alla cura che fa della speranza una strategia ed una compagna imprescindibile.

Un aspetto centrale, come accennato all’inizio, è il dialogo tra saperi e pratiche disciplinari differenti, dalla pedagogia, alla medicina, alle diverse pratiche di movimento, alla psicologia, così da valicare in maniera costruttiva anche i limiti epistemologici che rischiano di dividere e frammentare la persona limitandone la cura in senso più proprio, ovvero come approccio olistico, che per essere effettivamente tale non può non richiedere l’interazione tra ambiti teorici e pratici diversi.

Nel primo capitolo, quindi, si mette in luce un autentico approccio olistico alla cura. Intesa come una rinnovata therapeia, ovvero servizio alla persona nella sua totalità fisica, psichica, sociale e spirituale, nell’interazione vitale con l’ambiente umano e naturale. In questo approccio la malattia può svelare il suo lato pedagogico, come linguaggio dell’anima, appunto, che grazie alla complessità-totalità dell’umano, svela attraverso il corpo possibilità che vanno oltre il corpo di per sé. Fosse anche solo, una pausa dalla quotidianità per considerare il senso della nostra precarietà esistenziale. Ben lungi dall’essere una punizione, la malattia può essere un segno che nel linguaggio simbolico della vita, che ci parla continuamente un linguaggio cifrato, ci indica ulteriori possibilità d’esistenza. Si propone in breve un modello pedagogico di riferimento che sintetizza e rielabora in chiave personalista diversi approcci psicosomatici, approcci utili anche nel leggere aspetti e caratteristiche della “speciale normalità”, che può sembrare più diversa dell’inevitabile unicità di ciascuno… Tutto questo è messo in luce nello spazio di una reciprocità educativa che dovrebbe sempre essere una componente fondamentale nei contesti di cura e che richiede al terapeuta-educatore di saper mettere in gioco le proprie inevitabili ferite, come ci insegna l’archetipo di Chirone.

Nel secondo capitolo si descrivono le caratteristiche peculiari della progettazione e della metodologia simbolico-antropologica di danza e movimento, nelle situazioni particolarmente difficili di malattia e/o disabilità. Se ne descrivono gli elementi peculiari del setting. Il capitolo tre approfondisce nello specifico le caratteristiche del setting individuale e domiciliare, quest’ultima opportunità è ancora poco sondata tra i contesti della dmt.

Segue un capitolo su un’esperienza di danzamovimentoterapia domiciliare, nel quale, con dovizia di dettagli, si raccontano la progettazione ed il percorso terapeutico-educativo centrato sull’ascolto dei sintomi e della storia del cliente-paziente. Il capitolo permette di comprendere dall’operato concreto della dmt coinvolta nell’esperienza quanto descritto teoricamente e metodologicamente nei capitoli precedenti.

Il capitolo cinque propone un approccio integrato per la valutazione, descrivendo un nuovo strumento di valutazione quali-quantitativo per le intelligenze multiple, la Scheda per l’Osservazione delle Intelligenze Multiple, SOIM™, quale Rating Scale ideata per un target specifico di persone con disabilità, elaborato e sperimentato nell’ambito delle attività di formazione, tirocinio e supervisione della Scuola di danzamovimentototerapia Eurinome di Perugia. Un esempio di questa sperimentazione è proposto nella ricerca-azione descritta nel capitolo successivo. Lo strumento, pensato per l’osservazione partecipante, è un valido supporto per la comunicazione e condivisione dei dati di valutazione in una equipe multidisciplinare composta da professionisti con approcci epistemici differenti.

In appendice sono descritte: una illuminante esperienza di dmt con un cliente-paziente con trauma cranico-cerebrale ed un prototipo della scheda SOIM, elaborata e sperimentata prima della sua stesura definitiva.

Il testo è rivolto, ai professionisti del movimento, della creatività, dell’educazione e della cura (danzamovimentoterapeuti, psicomotricisti, laureati in scienze motorie, docenti di sostegno, dramma teatro terapeuti, arte-terapeuti, fisioterapisti, psicologi, medici, educatori, etc…) ed agli studenti che si cimentano nell’approfondimento delle arti del movimento, dell’educazione e della cura (scienze motorie, scienze dell’educazione, medicina, psicologia, danzamovimentoterapia etc), sia nella specificità della loro professione, attuale o futura, che nell’importantissimo e sempre più imprescindibile lavoro di equipe.

[1] Bertolini P., Dallari M. (1999 a cura di), Pedagogia al limite, la Nuova Italia, Firenze.

 

CRESCERE DANZANDO

LA PEDAGOGIA DELLA MEDIAZIONE CORPOREA NEL CORSO DELLA VITA,

TRA NARRAZIONE, IMMAGINAZIONE E DANZAMOVIMENTOTERAPIA

di Alba G.A. Naccari

Editore Franco Angeli, Milano 2018

 

Introduzione

L’idea principale di questo volume nasce dall’incontro e dall’integrazione di due filoni di ricerca, entrambi rilevanti nelle ricerche della pedagogia contemporanea. Da un lato gli approfondimenti dell’educazione permanente possibili grazie alle teorie sui cicli di vita, dall’altra la positività pedagogica della mediazione corporea ed espressiva, anche questa sempre più apprezzata nei diversi contesti dell’educazione formale e non formale[1].

Le teorie sul corso di vita e sui cicli di vita sono utili strumenti per comprendere meglio i bisogni ed i compiti evolutivi possibili di ciascun momento della vita. Gli/le educatori/trici possono giovarsene per valutare al meglio le esigenze formative delle persone di cui si prendono cura e progettare per loro i più congrui percorsi formativi. Lungi dal voler incasellare la vita delle persone in stadi evolutivi angusti e costrittivi, la teoria dei cicli di vita indica possibili processualità evolutive e direzioni di senso per la vita degli esseri umani, che oggi sempre più rischia di omologarsi e chiudersi nelle sole possibilità giovanilistiche e leggere propinate da una società sempre più fluida e contraddittoria.

La mediazione corporea ed espressiva, che nasce come opportunità non performativa, ma educativa di diverse ricerche pedagogiche ispirate principalmente all’attività motoria, alla danza e al teatro, è oggi applicata non solo nell’età dello sviluppo, ma anche nelle diverse età dell’adulto. In particolare faccio qui riferimento alla mediazione corporea ed espressiva simbolico-antropologica alla cui messa a punto, sperimentazione e ricerca mi dedico oramai da più di quindici anni, insieme ai/alle docenti e agli/alle studenti/esse della Scuola Eurinome di Perugia[2], e grazie al confronto con diversi docenti e ricercatori italiani e stranieri. La metodologia nasce dalla rielaborazione in chiave pedagogica di teorie e metodiche di danzamovimentoterapia. In essa, grazie ad uno specifico setting, come organizzazione pedagogico-didattica, vengono integrati giochi-esercizi di attività motoria, teatro-danza, danza etnica, danza contemporanea, tecniche di rilassamento, esercizi di pedagogia narrativa, attività plastico-pittoriche. Nell’approccio simbolico-antropologico teniamo intenzionalmente uniti i termini pedagogia e terapia poiché riteniamo che ci sia sempre tra essi un’inevitabile, ed anzi proficua, sinergia; tutto ciò, ovviamente, senza sottovalutare l’importanza della differenza di contesti e di figure professionali coinvolte. Il termine therapeuein in origine era riferito alla cura in senso lato come attenzione ai bisogni dell’altro, intesi soprattutto come bisogni educativi di crescita.

Il modello pedagogico che fa, qui, da sfondo ad entrambi i filoni di ricerca è principalmente quello personalista, integrato con diversi approcci della filosofia e della psicopedagogia contemporanee, che vedono nell’essere umano la complessità di polarità che nel corso dell’esistenza e della vita delle collettività umane possono e dovrebbero essere sempre più armonizzate. Corpo e anima, pensiero e creatività, maschile e femminile, ragione ed emozione, filosofia ed arte, scienza ed etica e così via, sono solo alcune delle dimensioni che gli esseri umani sono chiamati ad accogliere ed integrare nell’arricchimento di entrambi i poli dialettici in una sorta di nuova paideia, che di quella antica mantiene il riferimento a valori ed archetipi universali. In questo approccio educativo l’evoluzione della coscienza è vista come sviluppo dall’io al Sé, dall’io-pelle alla com-presenza, in un progressivo ampliarsi di capacità di considerazione ed accoglienza dell’Altro.

La motricità, la narrazione e l’immaginazione sono parte integrante del metodo. Il mito, con i suoi personaggi e trame, è spesso lo sfondo su cui vengono tessute e proposte le attività di movimento. Come spiegherò nel testo, le storie sono scelte in base ai bisogni educativi e, se contemplato, agli interessi delle persone coinvolte. Spesso la produzione narrativa è anche una modalità per rielaborare i vissuti di movimento. A partire poi dalle storie scritte dai partecipanti si può ancora danzare, in un intreccio tra storia e danza che trova il proprio filo rosso nella specificità ed unicità evolutiva di ogni singolo partecipante. La didattica dello sfondo narrativo-integratore è sovente lo strumento utile per la realizzazione di tutto ciò, e viene diversamente proposto e modulato in base all’età dei partecipanti.

L’immaginazione è quasi sempre il “come se” del movimento e della danza, tesse e guida il senso della ricerca espressiva; andando a nutrire così il mondo disatteso della “mano sinistra”; ovvero il mondo della creatività, del pensiero divergente, dell’arte, della bellezza, della meraviglia.

I capitoli sono proposti in relazione al susseguirsi delle età della vita. Ognuna di esse, oltre ad essere indagata in relazione ad un tema specifico di sviluppo, permette di approfondire in maniera differente aspetti similari dell’approccio pedagogico e del metodo. Spesso la proposta pedagogico-didattica è argomentata grazie alla descrizione di concrete proposte applicative e/o di idee che potrebbero essere sviluppate nei laboratori educativi a mediazione corporea ed espressiva. Alcuni schemi di sintesi permettono di cogliere meglio i nessi tra la teoria e la prassi, e tra i diversi elementi metodologici.

L’età della scuola dell’infanzia è contemplata nel primo capitolo. La globalità della percezione infantile trova un suo naturale correlato in una metodologia educativa che fa leva sulle diverse possibilità sensoriali intrecciate fra loro. L’immaginazione e la creatività motoria, attraverso i giochi di immedesimazione con i personaggi e le vicende narrate nelle storie e nelle fiabe, nella specificità del setting proposto, sostengono i processi di graduale orientamento nella realtà e di differenziazione.

Nel secondo capitolo, attraverso una sintetica ricognizione del pensiero filosofico del novecento, traccio il percorso attraverso il quale si è pervenuti a pensare e comprendere la complessità della persona e la valorizzazione della produzione artistica (ivi compresa l’espressione corporea e quella narrativa) a fini pedagogici; questo, proprio perché le caratteristiche delle forme d’arte meglio corrispondono alle poliedriche dimensioni dell’essere umano e sono quindi più adatte a sostenerne la formazione, rispetto alla sola trasmissione verbale-razionale. Questa evoluzione, dalla metafisica all’arte come educazione, ha a che fare anche con quello che è stato il mio percorso autobiografico da docente di filosofia nei licei a pedagogista della mediazione corporea e danzamovimentoterapeuta in diversi contesti formativi.

Questo percorso mi ha permesso di comprendere meglio le esigenze formative dell’adolescenza, cui il capitolo è principalmente dedicato, e di integrare in maniera peculiare educazione a mediazione verbale ed educazione a mediazione corporea ed espressiva.

Descrivo qui, quindi, nel dettaglio la genesi della pedagogia e della metodologia a mediazione corporea, proponendo alcuni schemi che ne sintetizzano le principali caratteristiche sia in astratto che nell’applicazione che ne è stata fatta in un laboratorio realizzato presso il Liceo Classico di Assisi. A questo proposito descrivo anche le principali tematiche affrontate e alcuni aspetti della valutazione effettuata in merito al processo formativo.

Proseguendo il discorso relativo ai cicli di vita, descrivo le principali caratteristiche e bisogni della giovane (terzo capitolo) e della media (terzo e quarto capitolo) età adulta. Il terzo capitolo è più centrato sulla ricerca dei talenti e la realizzazione del sogno personale, ovvero quella intuizione di come saremo e cosa faremo nel futuro che nutre e dà energia al nostro presente soprattutto quando si è giovani. La media età adulta dovrebbe saper ampliare, invece, sempre più il senso della cura, dalla cura sui alla cura dell’altro. Cosa che nella nostra contemporaneità è diventata sempre più difficile da realizzare. Propongo anche qui alcuni esempi concreti di laboratori, ispirati non solo all’intreccio fra danza-movimento e narrazione ma anche alla possibilità di trovarsi ri-trovarsi muovendosi e danzando sulle immagini dipinte da grandi artisti (cap.3). Per la media età adulta propongo ed analizzo alcuni miti specifici come sfondo narratore integrativo per le attività di movimento, che possono essere particolarmente formativi per ritrovare ed ampliare le proprie capacità generative e di cura (cap.4).

L’ultimo capitolo chiude il cerchio dei cicli di vita, considerando insieme la vecchiaia e ….l’infanzia! Contrariamente a quanto potrebbe sembrare bambini e anziani condividono per motivi molto diversi  medesime particolari competenze relative alla narrazione e all’immaginazione, condividono, quindi anche la positività dei laboratori pedagogici di mediazione corporea ed espressiva. I bambini grazie ai processi immedesimativi a mediazione corporea e narrativa, imparano ad avere a che fare con la realtà, grazie a vicende fantastiche che hanno qualcosa del mondo vero e qualcosa dei mondi magici. Gli anziani grazie all’immaginazione e ai processi artistici, attivati attraverso laboratori di movimento centrati sui sogni notturni e le vicende dei miti, possono coltivare la propria naturale tendenza alla trascendenza, nutrendo aspetti dell’interiorità che sono probabilmente destinati a durare oltre la vicenda terrena. Nei laboratori dedicati a bambini/e e anziani/e insieme lo scambio intergenerazionale può permettere di valorizzare nell’anziano/a la possibilità di essere testimone di vita e di cultura, mantenendo così una certa generatività. I bambini imparano dai nonni a considerare frammenti di realtà, mediati dalle storie tessute insieme. Entrambi possono vivere insieme, grazie allo spessore ludico delle attività, il senso di gratuità che è proprio della festa e del gioco e che è un imprescindibile valore superindividuale.

Il testo si rivolge agli educatori ed agli studenti di scienze dell’educazione, scienze motorie, mediazione corporea e danzamovimentoterapia, ovvero a tutti coloro i quali usano le attività espressive non per fini esclusivamente artistici e/o performativi, ma per fini sociali, psicologici e formativi. Chi ha già, o sta acquisendo, una formazione specifica in scienze motorie o mediazione corporea sarà agevolato nel comprendere le proposte del testo, e saprà meglio farne buon uso anche in senso applicativo. Ma anche chi non ha ancora una formazione specifica nel movimento, potrà trarre spunto per se stesso/a o per progettare percorsi educativi con l’introduzione di elementi a mediazione narrativo-corporea.

 

[1] Mi sono già occupata dell’intersezione di questi due ambiti dell’educazione, introducendo in generale la positività dell’attività motoria e dello sport nei diversi cicli di vita (A.G.A.Nacari, Attività motoria e sport nei cicli di vita, in A.Cunti, a cura di, Corpi in formazione, Franco Angeli, Milano 2015), qui mi concentrerò più nello specifico sulla mediazione corporea ed espressiva.

[2] La Scuola opera dal 2006, dal 2009 come Eurinome ASD, è attualmente convenzionata con il Dipartimento FISSUF, il Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università degli Studi di Perugia; ha firmato un Protocollo d’intesa con il Dipartimento FISPPA dell’Università degli studi di Padova e ha goduto dell’Accreditamento Miur ai sensi della dir.90/2003, sino al 2016. Attualmente organizza e gestisce un Master in Pedagogia della Mediazione Corporea e Danzamovimentoterapia riconosciuto dallo CSEN, accreditato Miur ai sensi della dir. 170/2016. Cfr. www.danzasimbolica.altervista.org. Per la bibliografia relativa all’approccio pedagogico e didattico rinvio a quanto proposto all’interno del testo.

DANZARE L’ALBERO DELLA VITA

Un approccio pedagogico e interculturale alla teoria e alla pratica dei centri di energia vitale

di Alba G.A. Naccari

Editoriale Anicia S.r.l, Roma 2021

Il testo presenta una sintesi interculturale della teoria dei centri di energia vitale. Sono integrate tra loro, nella ricerca delle affinità e similarità, la teoria dei Chakra nella sua lettura orientale e cristiana e quella dell’albero sefirotico della tradizione ebraica. Si fanno alcuni riferimenti anche alle interpretazioni buddiste e taoiste della medesima dottrina. Le fonti consultate, oltre ai grandi storici delle religioni, sono state le rielaborazioni in chiave psicologia e sapienziale delle teorie considerate.

Le teorie indagate vengono considerate non di per se stesse, non si tratta qui di valutare l’effettiva esistenza di tali centri di energia, si intende fare riferimento ad essi in chiave pedagogica come costrutti culturali e simbolici, grazie ai quali comprendere meglio le dimensioni educative, le attitudini, le potenzialità e i valori umani, così da predisporne efficaci pratiche formative a mediazione corporea ed espressiva. Per le metodologie pedagogiche e di movimento si è fatto riferimento alla letteratura specifica.

Ne emerge un modello pedagogico complesso e completo, nel quale si evidenzia chiaramente l’interazione tra le diverse dimensioni, l’evoluzione e le corrispondenze tra le diverse attitudini, potenzialità e valori umani.

Il modello, in questo modo, ha un valore diagnostico ed orientativo per l’educatore/trice, che, considerando la sintesi dei centri di energia può capire grosso modo dove si trovano i propri educandi orientando al meglio il proprio operato.

Il modello, per ciascun centro, è presentato in relazione alle specifiche opportunità laboratoriali a mediazione corporea ed espressiva, adatte ad educare e sviluppare le caratteristiche evolutive individuate.

Inoltre, poiché una delle metodologie di movimento cui si fa riferimento fa uso degli archetipi di movimento, vengono presentati per ciascun centro: i principali simboli, gli archetipi, i significati simbolici delle parti del corpo prevalentemente connesse.

 

Ricapitolando le NOVITÀ del testo, rispetto ad altri testi sui centri d’energia, sono le seguenti:

  • È una sintesi interculturale
  • Presenta un modello pedagogico completo dell’essere umano
  • Prospetta metodologie e attività utili per ciascun centro con il movimento, la danza, l’espressività in genere

 

Come si evince dall’indice la STRUTTURA è la seguente:

  • Una Parte Prima nella quale vengono presentate in generale le teorie e le metodologie cui si fa riferimento nelle parti successive del testo.
  • Una Parte Seconda, la più consistente articolata in sette capitoli, in cui i centri vengono presentati analizzandone le diverse caratteristiche, ciascun capitolo è dedicato ad un centro e segue il medesimo schema e ordine dei paragrafi e dei contenuti di tutti gli altri, ciascun capitolo culmina con la descrizione di un’unità di lavoro laboratoriale specifica per il centro descritto.
  • Una Parte Terza, nella quale è presentata un’indagine empirica portata avanti dal 2009 nella Scuola di formazione Eurinome di Perugia. Nella ricerca le attività e le teorie discusse nel testo sono state proposte nel tempo ad oltre 50 persone in formazione. Si è cercato di comprendere meglio, così, la portata delle teorie e delle metodologie elaborate. Per il reperimento dei dati sono stati somministrati un questionario a scelta multipla ed uno a domande aperte; inoltre, per ciascuna attività i soggetti indagati sono stati invitati a redigere un diario dell’esperienza nel quale descrivere le emozioni, i vissuti, le idee sperimentati durante ciascuna attività. Vi sono altresì le rielaborazioni grafico-pittoriche elaborate per ogni incontro. Ne emerge una notevole ed interessante mole di dati che è in fase di elaborazione e che sarà debitamente inserita in questa parte del testo. Alcune frasi dei diari saranno, inoltre, utilizzate come citazioni in occhiello nei vari paragrafi pertinenti delle parti precedenti.

Il lavoro è corredato da diversi schemi che ne agevolano la comprensione e l’utilizzo ed introducono i contenuti nello stesso ordine in cui sono presentati subito dopo.

 

Il testo è rivolto a tutti coloro i quali vogliono sapere di più della teoria dei centri di energia vitale, con particolare riferimento a chi usa il movimento per prendersi cura delle persone, sia in ambito pedagogico, che psicologico, terapeutico, sociale e del benessere. È dunque rivolto, in particolare, a psicologi e psicoterapeuti, danzamovimentoterapeuti, fisioterapeuti, educatori, maestri di yoga e di discipline orientali in genere, studenti di scienze della formazione, scienze motorie, psicologia, fisioterapia, medicina etc….

 

Hanno collaborato alla stesura di alcuni paragrafi del testo alcune valide dmt formatesi con Eurinome e collaboratrici, esperte in alcuni campi specifici che si sono rivelati utili alla ricerca: Emanuela Canton, Chiara Abeille, Ambra Rospo, Francesca Barbagli.

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